
«Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo»
(Malala Yousafzai)
La didattica a distanza è complicata alla primaria… prendete questo asserto per quello che è senza che io stia ad analizzarlo, perché un fondo di verità lo contiene; lo dico stando da ambo i lati di una cattedra in questo caso. Maestra e mamma possono in qualche modo confermarlo per diverse ragioni, ma non è questa la storia che le vedrà approfondite.
Qui non ci sono personaggi, ma donne vere, con nomi veri: maestra Silvia, maestra ‘Valentina uno’ e maestra ‘Valentina due’ (le maestre Vale, in realtà… o la maestra che vale, qualunque sia il suo nome), maestra Vilma.
Chi sono? Quattro meravigliose folli, di quelle che in mezzo agli insegnanti alla sbarra e con le punte, insegnano stando a testa sotto e seguendo Calvino, secondo cui il mondo si legge all’incontrario.
I video… i video per le lezioni della loro quarta elementare hanno avuto inizio dapprima con un saluto di maestra Silvia: volto tondo e colore di perla, come la Luna, occhi stanchi, ma tono di voce consapevole ed amorevole. Per la prossima registrazione si metterà in tiro, ora è un po’ casalinga, non conosce i filtri bellezza, ci proverà. L’ho amata! Non so bene se da donna, da collega o da mamma, ma l’ho amata. E mio figlio, che è un suo alunno, si è fatto tante risate ed ha capito che era il momento di cercare una tecnica nuova.
I video… i video per le lezioni hanno subito avuto seguito con le insegnanti de quo dietro un tavolo da soggiorno, che la cattedra la ricorda: “Siamo le solite, bambini!”… una con i piedi fuori dalle pantofole, l’altra che canticchia la sigla del notiziario, l’altra che sorride, una voce fuori campo dietro la videocamera… il tutto per dare inizio al lavoro, quello vero. E questa volta le ho amate per quattro. Sempre senza sapere bene da quale pulpito.
Ed ecco maestra ‘Vale uno’ che ripassa con loro, su un grande e chiarissimo cartellone, soldato armato di pennarello blu, l’analisi grammaticale; maestra ‘Vale due’ che con la voce allegra, trascinante, un favoloso maglioncino rosso fuoco come il suo smalto, passa alle divisioni ed al: “le tabelline eh, che vanno ripetute, iniziamo!”.
La chiarezza dietro un display. I sorrisi dietro un pc. L’amore incondizionato per i loro bambini. Queste donne non lavorano, queste donne vivono del loro lavoro. E si sente tutto.
E da qui? Da qui mio figlio. Otto anni. Le difficoltà di un anticipatario, le difficoltà dei difetti attentivi notati, seguiti e quasi colmati dall’attenzione oltremisura di queste insegnanti che lo hanno visto, seguito, incentivato, capito, portato dov’è, mano nella mano.
E dov’è? Nel punto in cui ama andare a scuola, ci mette tutto l’impegno che può facendo obiettivamente più fatica del previsto, senza mai mollare. Ed è davanti ai video.
Eccoci: i suoi occhi. Le sue eroine lì che ridono, sorridono, insegnano e lui… lui inconsapevole e consapevolissimo mi comunica tutto quanto non mi fa, poi, chiudere occhio.
Lo sguardo dietro i suoi occhiali si fa sempre più triste. Braccia conserte sul tavolo della cucina, le segue passo passo. Ha iniziato ridendo e a mano a mano ha mutato espressione. Non ho avuto il coraggio di chiedere nulla. Ho pianto di nascosto perché ho capito.
Ha aperto i libri, si è messo a fare quel che doveva, mi ha chiesto aiuto per le divisioni (che sono un tallone di Achille per difetti attentivi come i suoi: eppure le ha fatte da solo, compensando come solo lui sa), ha finito. E solo dopo ha sputato il rospo: “Mamma, le maestre mi mancano. I miei amici mi mancano. Il 16 torniamo a scuola o sarà ancora pericoloso incontrare le persone da vicino?”.
Vita mia… non lo so. Non ti posso rispondere. Non ti posso mentire e non ho verità da offrirti. Dobbiamo vivere un giorno alla volta. Studiare un giorno alla volta.
E da oggi a casa funziona così: sveglia alle 08:30, colazione ed un po’ di divano. Ci si lava, ci si veste e dalle 09:30 alle 12:30 facciamo come a scuola. Le maestre sono con noi dal pc, alle 10:20 a sorpresa YouTube fa suonare la campanella e loro increduli saltano di gioia, facciamo intervallo e merenda fra fratelli (perché c’è anche il più grande eh… un’altra storia infinita!) e poi… poi niente, ci ha pensato l’ottenne a decretare il poi. No, in verità, il “mentre”.
“Mamma, tu mettiti a lavorare con il tuo computer, se serve noi ti chiamiamo, perché anche i tuoi alunni sentono la vostra mancanza, come noi la sentiamo delle nostre maestre”.
Sai che ti dico, coronavirus? Che sei a buon punto nella tua battaglia, da neonato sconosciuto: ma qui abbiamo almeno duemilavent’anni di “umano” da poter spendere. E sebbene siamo delle teste bacate, troveremo il modo di ritrovarci.
Contro di te, tutto l’Amore del mondo.
E perché una storia sia storia e si possa rispettare, deve, DEVE, ancora DEVE, avere un solo filo conduttore.
L’Amore, virus! L’Amore vince SEMPRE.
Come non lo so, è vero, come non-lo-so; ma anche ora che tocca tornare alla macchina per tentativi e per errori, andrà-tutto-bene.
Parola di maestra.
Parola di mamma.
Parola muta, parola di Acca.