La Chiesa in “uscita” e la comunità dei discepoli missionari laici e consacrati suggeritaci da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium è l’orizzonte, anche nel campo penale, per una rinnovata evangelizzazione.

Don Virgilio Balducchi, già Ispettore Generale dei Cappellani delle Carceri Italiane, per più di vent’anni al servizio dei detenuti, al Convegno Unitario della Diocesi di Andria, tenutosi il 27 gennaio 2017: “Chiesa in Uscita e Percorsi di Liberazione”, organizzato dalla Casa di Accoglienza “S. Maria Goretti”, dalla Consulta delle Aggregazioni Laicali Ecclesiali e dall’Ufficio per le Migrazioni, ha tradotto con l’esperienza del campo le vie umane e i percorsi spirituali per l’accompagnamento dei detenuti alla re-integrazione sociale e lavorativa, alla speranza per il futuro.

Sempre più spesso si sente parlare di Giustizia Riparativa: messa alla prova e lavori di pubblica utilità…come pene alternative per i detenuti, Lei cosa ne pensa?

Con la Legge del 16 Aprile 2015 n.47, in materia di misure cautelari, sono state introdotte importanti novità in una materia, che nel corso degli ultimi anni, ha visto il susseguirsi di importanti interventi, legislativi, tutti inequivocabilmente tendenti ad una revisione in senso restrittivo della possibile applicazione della custodia cautelare, salvo i reati di particolare gravità. Il carcere come ultima ratio ha bisogno di risorse materiali, relazionali e spirituali per essere estesa e spendibile nei confronti di chi commette reati e lo Stato le deve garantire per la gestione di percorsi educativi e di reinserimento lavorativo ma al di là dei costi economici c’è la possibilità di condizionare l’illegalità con la scelta e la concessione di libertà. Noi come Chiesa siamo presenti ma abbiamo bisogno di supporto.

Infatti la Costituzione Italiana nell’ art. 27 stabilisce che: “…le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” secondo Lei il carcere educa per davvero o è una “università del male”?

Il carcere a parer mio è un male in sé perché produce male e non costruisce responsabilità e libertà. Ai carcerati va data la partecipazione alla cittadinanza con cammini di libertà dal peccato che hanno commesso. Come Stato e come Chiesa abbiamo il dovere di programmare la libertà di questi uomini e queste donne, il cambiamento si fa insieme.

Don Virgilio, Lei è da anni impegnato alla pastorale nell’ambito del penale, sarebbe bene istituire in ogni Diocesi un Ufficio dedito a favore di detenuti e dei familiari?

Sì, ma con il coinvolgimento di una commissione di laici e consacrati al servizio di coordinamento dell’Ufficio per abbracciare una visuale d’insieme tra il detenuto, i familiari, la comunità, la vittima e le Istituzioni.

Il carcere quindi rompe, spacca gli affetti e disgrega le famiglie. Quale indicazione per un tema così importante e allo stesso tempo delicato?

Il compito è di tutti, della Amministrazione della Giustizia, della Giustizia Riparativa, della Chiesa, dei detenuti, delle famiglie, delle vittime e del contesto sociale, per comporre il conflitto dell’illegalità rompendo così i meccanismi del male e guardare in profondità i volti, per scorgere il bene.

Secondo Lei, nell’ambito del penale, quanto può essere incisiva la pastorale della Chiesa in tema di riforme della Giustizia?

Le esortazioni di Papa Francesco sono stimate e apprezzate per la prospettiva che seminano, traducendo il perdono in norma, ma la ricezione da parte della politica italiana è ancora vuota e la Chiesa dovrebbe sforzarsi per una ricerca teologica e filosofica che pone le basi sulla giustizia riconciliativa. Al momento in Italia un gruppo di Giuristi Cattolici “Centro Stella”, dell’Università Cattolica di Milano, sta preparando una proposta di Legge.

Don Virgilio, una voce che infonde speranza, che illumina lo sforzo di preti volontari e operatori di giustizia, schierati dalla parte dell’umanità ‘reclusa’, imprigionata’ ed ‘esclusa’ e realizzano percorsi di liberazione e accompagnamento, attraverso la conoscenza del male compiuto, per mezzo della reintegrazione socio-lavorativa e la riconciliazione con le vittime. Certo, riconciliazione e riparazione del male possono sembrare due parole ambiziose, utopiche, ma, in realtà, sono le uniche opportunità per arginare la recidiva.


Fontewikipedia.org
Articolo precedenteMi dispiace, ma il Teatro Astra non si può salvare
Articolo successivoLa vera essenza di Cuba: Trinidad
So che tutto ha un senso. Nulla succede per caso. Tutto è dono. L'umanità è meravigliosa ne sono profondamente innamorato. Ciò che mi spaventa e mi scandalizza, non è la debolezza umana, i suoi limiti o i suoi peccati, ma la disumanità. Quando l'essere umano diventa disumano non è capace di provare pietà, compassione, condivisione, solidarietà.... diventa indifferente e l'indifferenza è un mostro che annienta tutto e tutti. Sono solo un uomo preso tra gli uomini, un sacerdote. Cerco di vivere per ridare dignità e giustizia a me stesso e ai miei fratelli, non importa quale sia il colore della loro pelle, la loro fede, la loro cultura. Credo fortemente che non si dia pace senza giustizia, ma anche che non c'è verità se non nell'amore: ed è questa la mia speranza.