Una favola al mese, ogni 6 del mese, per distendere i pensieri e volare con la fantasia

I giochi di Lilla

Fisico ossuto e gambe affusolate, Lilla aveva lunghi capelli che si attorcigliavano intorno al suo viso, ad ogni minimo soffio di vento. Lilla era bella e non si vedeva. Le dicevano sempre che era brutta.

Lilla dormiva in un lettino di ferro battuto colore del cielo, in una piccola stanza, tutta per lei, circondata di lucine e foto sparse tutt’intorno: il primo giorno di scuola, la vacanza al mare, la foto con la nonna, l’abbraccio con l’amica più cara. Tutti intorno a lei a farle compagnia, che lei, in quella stanzetta, un po’ si sentiva sola.

In verità Lilla si sentiva sempre sola.

Lei che amava parlare e parlare e ridere fino a sentirsi morire, sepolta in un castello silenzioso in cui le uniche voci che risuonavano erano quelle che stabilivano  ordini e regole da seguire. Lei che desiderava respirare il mare e che quasi affondava nei vapori tossici di una fabbrica di veleni.

Lei che sognava di giocare “alle signore” come tutte le sue amichette, piatti piattini  bambole da nutrire e le moine delle mamme da scimmiottare, e che invece si ritrovava circondata da quella squadra di maschi rudi e maldestri che erano i suoi  tre fratelli.

– Giochiamo? – diceva raggiungendoli in giardino, quando la noia la assaliva – Nascondino? Fulmine? Dai dai… facciamo Regina reginella?-

– Sarai mica scema? – dicevano quelli – Si gioca a palla e tu stai in porta – e le indicavano la saracinesca del garage che lei doveva presidiare.

E vai a bombardarla, a cercare di spiazzarla in tutti i modi calciando pallonetti, svirgolate e finte ad un ritmo sempre più serrato.

E lei si allungava un po’ qui e un po’ là, che il goal proprio non lo voleva subire,  per non sentire i loro fischi e quelle frasi con cui la insultavano fino a farla piangere e se cadeva, loro la prendevano ancora più in giro. La guardavano lì per terra, ad asciugarsi le lacrime, a soffiarsi aria sulla pelle abrasa per non sentire il bruciore e le dicevano di rialzarsi, veloce, che il gioco doveva riprendere. Non c’era tempo da perdere! Poi imparò a  ingoiarsele, quelle lacrime.

Continuò a chiedere, però.

– Posso venire con voi?- implorava quando c’era da andare al mare, ad una festa, in giro qua e là e la risposta era sempre sì ma ogni volta c’era un prezzo da pagare, qualcosa da ingoiare. Così fu per tanto tanto tempo.

Un giorno, tagliò i suoi  lunghi capelli. Li tranciò di netto all’altezza del collo. Ingoiò la paura e partì. Lontano, più lontano che potè. Sola.

E, meraviglia delle meraviglie, conobbe tanta gente con cui parlare, con cui ridere fino a sentirsi morire, come piaceva a lei. Si costruì la vita che aveva desiderato. Eppure continuava a chiedere – Posso stare con te?

Continuava a cadere durante “i giochi” che le venivano proposti e che lei non poteva scegliere mai. Allora  sentiva ancora il desiderio di soffiare sulle ferite per non farle bruciare  e imparò a far scorrere le lacrime che ormai dentro non c’era più spazio per  trattenerle.

E  poi cominciò a chiedersi il perché.

Perché continuava a ripetersi quel rituale; compagni diversi, giochi diversi ma  sempre lo stesso rituale. E, all’improvviso, le venne un dubbio. – Possibile che fosse lei ad innescare la miccia? Lei e quella sua domanda piagnucolosa?

Quel pensiero la sconcertò e mentre decideva che avrebbe smesso di chiedere piagnucolando, che avrebbe dato voce ai suoi diritti e alle sue volontà, si guardò e, finalmente, si vide.

Lunghi capelli che si avvolgevano intorno al suo viso ad ogni soffio di vento ed occhi brillanti. Sì, era bella. E mentre si rassicurava su quella visione, non credendo a se stessa, sentì quella voce di uomo, dietro di lei; gentile e gioviale chiedeva qualcosa.  Lei scoppiò a ridere. Il tono era diverso, ma  era certa di aver sentito – Posso stare con te?


FontePhoto credits: Nadia Pistillo
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Sono un’insegnante di Matematica e Scienze che adora raccontare ed ascoltare storie. Ho scoperto il potere terapeutico del racconto in un particolare momento della mia Vita e da allora scrivo storie che prendo in prestito dalla realtà. Nel 2014 ho pubblicato il mio primo libro, È solo questione di tempo. La mia vita, una favola, edito da EtEt, casa editrice con sede ad Andria. Nel 2016 ho frequentato un corso di scrittura creativa con Tommy Dibari, coautore di trasmissioni televisive e scrittore. Nel 2019 viene pubblicato, edito da Progedit, il mio secondo libro, Ti prometto il mare, racconto fiabesco incentrato su storie di donne. Sempre nel 2019 ho frequentato un corso di scrittura creativa con Luigi Dal Cin, autore di libri per ragazzi ed insegnante presso la scuola Holden. Profondamente convinta del valore etico della comunicazione, nel 2019 ho perfezionato le mie competenze con un master in PNL, Programmazione Neuro Linguistica Bio-etica seguito e, nel 2021, con un master in Coaching bio-Etico, conseguiti entrambi presso il centro di formazione Ikos di Bari.