Chi si farà carico del vuoto? Con cosa lo riempiremo?

Un altro giorno è passato. Un lui e una lei, innamorati, sono stati uccisi perché “troppo felici” da un altro che voleva ridare, a ciò che lo circondava, la normalità della neutralità emotiva: né troppo triste né troppo felice, il giusto infelice e il giusto felice.

Un ragazzo indifeso è stato massacrato da alcuni individui che adoperavano la violenza come prova della propria esistenza, nessuno li avrebbe notati altrimenti, a parte l’apparenza, quella puttana che veste cani e porci.

È come se dovessimo rivivere dentro tanti e continui Auschwitz, là dove mancano solo i segni di un dio il cui unico vero regalo è il libero arbitrio. Nessun padrone né sovrano.

Tutti noi che improvvisiamo ogni passo con coraggio, che ci segniamo con la croce al mattino in una preghiera che usata all’infinito sa di laico. È affetto verso se stessi.

È laica la mano che cerca di raggiungere e toccare qualcuno, mentre è sacro l’amore che ne scaturisce. Metafora di un semplice e ruvido pezzo di legno che può regalare il fuoco.
Non è follia perché mi piace pensare che folli sono coloro che usano il proprio talento per impreziosire la vita altrui: lo sono un musicista come uno scrittore.

Occorre un aggettivo esasperato quanto l’azione commessa.

È un gesto antiumano. È una specie di essere umano che si improvvisa gomma per cancellare, che toglie.

Dei ragazzi con una insegnante di sostegno passano per il corridoio e tra un urlo e l’altro, tirano dei pugni che fanno solo rumore al muro, dove capita. Gli sguardi di chi assiste sono sgomenti, tutta questa forza scellerata, improvvisata per convincere l’istituzione che li ospita della loro anormalità.

Chi si farà carico di quel vuoto morale? Con cosa lo riempiremo?

La scuola, il sociale sopravvivono con il coraggio, con la parola donata e condivisa. La parola piccone che abbatte un muro ma può anche costruirlo.
Bisogna però prima addestrarsi a usarla.