«Se si vuole suicidare, non ha bisogno di usare la potenza nucleare. Egli deve fare come quel signore in un bunker, nel 1945»

(Sergiy Kyslytsya)

Esiste una morsa che attanaglia direttamente l’esofago, perché la vita, nella sua escalation di imprevedibile e criminale follia, mi sta insegnando in diretta quanto le strette allo stomaco siano altre e siano ben poca cosa rispetto a questo.

Mi sono svegliata già con l’ansia, mi sono chiesta perché non abbia continuato a dormire pur non avendo fretta, sono arrivata in cucina e la tv era già accesa:

«64 km di carri armati avanzano verso l’Ucraina».

«Chi se ne importa, la guerra è in Ucraina», come «Chi se ne importa, il virus è in Cina».

«28/02/2022, scuola: devono finire il lapbook di carnevale perché hanno iniziato in ritardo».

«28/02/2022 una dirigente chiede alle scuole di infanzia e primaria di affrontare l’argomento», ma io avevo già iniziato 4 giorni prima, perché sono una dissidente che non chiede il permesso, certe volte.

Io non so niente di geopolitica, non so niente di medicina e con ogni probabilità so molto poco anche di pedagogia e teologia. O forse no, ma non è che la cosa mi importi molto.

Io so che ieri, 28/02/2022 un canale Rai ha passato in diretta l’intervento di Sergiy Kyslytsya, ambasciatore Ucraino, che parlava allOnu.

Io so che quando ho riferito ciò che avevo sentito ad una mia amica, totalmente ed onestamente serva dell’acriticità, prima ha taciuto e poi ha cercato. Voleva sentirlo con le sue orecchie, figlia di San Tommaso: irrimediabilmente mi ha detto che avevo sentito male. Kyslytsya aveva detto qualcosa di simile, ma non quanto riferivo. Lei lo aveva ascoltato in inglese, ne era certa. E non metteva in dubbio me, ma l’esasperazione giornalistica.

E no, doveva cercare meglio questa volta, perché io pure lo avevo sentito in diretta ed in inglese. Non avevo sognato. Non potevo aver sognato una frase così, in un contesto così. Era qualcos’altro che non stava funzionando: ha dovuto cercare le sillabe che mi si erano stampate in mente, per cedere e credermi. E lo ha trovato.

Dunque ciò che non funzionava era che una ricerca umana non portava alla verità. Per prendere il ceffone che avevo preso io, quello che l’ambasciatore aveva voluto riservare al mondo intero, non bastava sapere lo avesse detto, ma bisognava cercare un ago in un pagliaio. Un ago fantasma, che fantasma non era.

Questa crisi, forse,  sta facendo dire a molti ciò che pensano davvero. E se qualcuno capita lì per caso e lo sente, se sentendolo prende un colpo di lametta a crudo, ha il dovere etico e morale di dirlo. Al di fuori della politica e all’interno dei crimini contro l’umanità.

If he wants to kill himself, he doesn’t need to use nuclear power. He has to do like that gentleman in a bunker, in 1945 (Sergiy Kyslytsya all’Onu, 28/02/2022).


Fontehttps://commons.wikimedia.org/wiki/File:SergiyKyslytsya.jpg
Articolo precedenteIL FUMO, I GIRASOLI, LA CENERE
Articolo successivoLa musica fresca e giovane di Kuerpo e Rey
Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.