«A diciassette anni io e le mie amiche eravamo timidamente e gioiosamente ribelli, ma facevamo i compiti, studiavamo a memoria e snocciolavamo verbi irregolari, equazioni e moventi dei personaggi letterari»

(Ian McEwan)

Sono cresciuta divorando Goethe ed in seguito a lui facendo indigestione autonoma di Foscolo. Werther mi aveva rapita a dodici anni e da lì la spasmodica ricerca di qualsiasi cosa fosse epistolare. Ancora a dodici anni sono così incappata in Jacopo Ortis e ricordo perfettamente quanta fatica ho fatto per arrivare a parlare la sua lingua.

Presuntuosa, si può pensare. Beh no, non volevo parlare come lui; cercavo solo la chiave per capirlo e tanto mi sono incaponita, che l’ho trovata.

Sono passati gli anni ed I sepolcri con i loro endecasillabi sciolti ed il primo verso dedicato a Vincenzo Monti sono diventati il mio argomento a scelta alla maturità.

Guardavo Piero Angela ed apprezzo il figlio Alberto, sebbene sia sempre chiara l’impronta per me irrinunciabile dello spessore di suo padre e nei duelli fra Alberto che narra Michelangelo e lo stesso Michelangelo, vince sempre e comunque il secondo.

Sono venuta su a suon di mordente ed ho sviluppato una sorta di senso critico.

Ho imparato l’etica e la moraledella società partendo dal significato dei due sostantivi sul Piccolo Palazzi, che la maestra aveva fatto comprare a mia madre quando ero in terza elementare, senza righe in grassetto o termini colorati, né caratteri speciali. Un dizionario in miniatura perché pesasse meno in cartella, ma con i caratteri che seguivano le sue sorti: erano anche loro miniature ed io le leggevo, con la sete di chi vive nel deserto. Avevo nove anni. E non sono ancora diventata miope.

Non ero il genio, ero una dei tanti. I miei compagni facevano lo stesso e anche i meno svegli non si tiravano indietro. Era il nostro dovere: non sapevamo di certo che, invece, stavamo esercitando il nostro più grande diritto.

Ho così sviluppato anche il rifiuto critico per un certo tipo di etica e di morale ed a torto o a ragione, ho visto nascere la mia opinione, la mia identità.

Pur venendo da una famiglia abbiente ed essendo figlia e nipote unica, viziata per antonomasia,  sono cresciuta rinunciando a qualcosa per averne un’altra e non mi è mai stata nascosta la verità per la quale in casa ero una regina, ma fuori solo un numero; se non avessi imparato a sudare, rimboccarmi le maniche, dimostrare il saper fare anche buttando sangue, non avrei ottenuto niente: non era il mio nome reale nelle mie mura ciò che poteva risolvermi i problemi.

E dopo tutta questa storia scritta a suon di anni che sono passati senza cancellare un ricordo, mi ritrovo a vivere l’epoca di chi ha bisogno di Fedez  per attaccarsi alla faccia questa benedetta mascherina.

E non ce l’ho con Fedez. Chiunque egli sia (lo so chi è, mio malgrado, lo so!). È una banalissima legge di mercato: offerta risponde a domanda. Il mercato chiede Fedez, le sue stesse leggi offrono Fedez. È ovvio. Ma se chiedessi cosa è una legge di mercato a chi questo mercato lo fa, mi sentirei rispondere: N-dèrr’a la lanze*, psorrè, sta u mercat du ciambottè!

***

*N-dèrra la lanze:uno dei luoghi più caratteristici della baresità, che letteralmente significa “a terra la lancia”; è uno scalo vicino al molo di S. Nicola. Il porto è sede di un mercato ittico all’aperto frequentato da pescatori locali che all’alba vendono pesce e frutti di mare. A N-derr’a la lanze, si vende anche u ciambòtte(zuppa di pesce) che le varcheceddàre asscennèvene n-ddèrra la lanze(i pescatori con le barche scendevano in terra la lancia), per offrirli agli avventori. (Fonte: mia madre e la mia maestra elementare. Perché il dialetto non lo devi rifuggire, è la tua storia. Solo conoscendola saprai quando e come usarla, nonché quando e perché non farlo.)


Articolo precedenteSempre un passo indietro, sempre uniti al traguardo
Articolo successivo“Adda passà ‘a nuttata”
Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.

2 COMMENTI

    • Grazie infinite Angela, specie per avermi dedicato parte del suo tempo. Buon fine settimana

Comments are closed.