
“Prima di morire, voglio cantare davanti a milioni di persone…”
Ci sono molti modi in cui le persone attorno a noi possono migliorare la nostra vita. Spesso non riusciamo a valorizzare gli spazi pubblici per trasferire energia gli uni agli altri. La sezione “DisperArti” del Festival Della Disperazione 2019, che si terrà ad Andria dal 16 al 19 maggio, ospiterà l’installazione “Before i die” dell’artista internazionale Candy Chang.
Dopo aver disseminato in giro per New Orleans stencil, gessetti e post-it per porre le più disparate domande ai suoi vicini riguardo a come pagare un affitto, come chiedere aiuto senza sembrare inopportuni o come conservare il ricordo degli edifici abbandonati, Chang ha sofferto, nel 2009, la perdita della sua madre adottiva Joan, un vuoto dilaniante che le ha fatto capire l’importanza della vita, di ogni singolo istante. Una prospettiva, però, questa, difficile da mantenere nella quotidianità, routine in cui è facile perdersi.
Candy Chang decide, allora, di affittare una casa diroccata e di trasformarne le pareti in lavagne su cui rispondere, in due righe, ad un semplice quesito, un intro da completare, quel vuoto da colmare come puntini di sospensione che attendono di essere riempiti, è il cerchio che si intende chiudere ciascuno alla propria maniera.
“Before i die, i want to…”. L’incipit era lì dalla sera prima, e il mattino seguente quei muri pullulavano di lettere, virgole, frasi rimpinzate di vita, di speranza, un urlo lanciato contro tutti e nessuno al tempo stesso. Eccovi alcuni esempi:
“Prima di morire, voglio essere processato per pirateria…”
“Prima di morire, voglio cantare davanti a milioni di persone…”
“Prima di morire, voglio piantare un albero…”
”Prima di morire, voglio vivere senza vincoli…”
”Prima di morire, voglio abbracciarla un’ultima volta…”
”Prima di morire, voglio correre in aiuto di qualcuno…”
”Prima di morire, voglio essere me stesso, completamente…”
Uno spazio trascurato diventa, così, luogo costruttivo per riflettere, contemplare, ridere e, perché no, disperarsi, è la catarsi visiva che ci fa capire di non essere soli, la realizzazione di quanto siamo in grado di crescere e cambiare.
Ci sono muri che dividono e muri che, invece, uniscono. Oggi questi muri campeggiano sulle strade, fra gli altri, del Kazakistan, del Sud Africa, dell’Australia e dell’Argentina.
Siamo, solitamente, portati ad identificare la morte come qualcosa di negativo, preferiamo non pensarci affatto. Ma fare tutto in funzione della morte può chiarire il nostro percorso di vita, impreziosita da due doni: il tempo e i rapporti interpersonali.
L’unico viatico per sentirsi individui è tesaurizzare le esperienze della comunità e questo progetto di arte partecipativa, promosso dal Festival della Disperazione, ne è la prova.