Il dolore e la fragilità degli uomini sembrano essere trofei da esporre
Una recente ricerca dell’Oxford Internet Institute ha stabilito che, nel giro di cinquant’anni, gli utenti morti su Facebook potrebbero superare quelli vivi. La notizia non ha lasciato indifferenti gli organizzatori del Festival della Disperazione 2019 che, venerdì 17 maggio, alle ore 19.30, presso Mater Gratiae, hanno invitato l’esperto in tanatologia, Davide Sisto.
Assegnista di ricerca in Filosofia Teoretica, presso l’Università di Torino, Davide Sisto si occupa di argomentazioni relative alla morte partendo da un punto di vista sia filosofico che scientifico.
“Vorrei morire ma non posso. La disperazione di uno spettro digitale che vaga nel web” è un saggio introspettivo che il Festival della Disperazione 2019 ha presentato, venerdì 17 maggio, ad un pubblico, sempre più, “giù di toner”. Ciò che Sisto fa notare agli spettatori è il dilagante desiderio di approcciarsi alla morte delle nuove generazioni, millennials, e non solo, che, attraverso la rete, sperimentano e si documentano su un tema caro agli antichi ma, troppo spesso, bistrattato per tutto il Novecento:
“Nel mio libro “La morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale” (Bollati Boringhieri Editori n.d.r.) – dice Sisto – si parla del modo in cui oggi la morte viene affrontata pubblicamente. Il dolore e la fragilità degli uomini sembrano essere trofei da esporre. Sembriamo quasi usciti dal limbo mentale di questi tabù. E’ una sorta di elaborazione eclatante e collettiva del lutto. Accedere, sui social network, ai profili delle persone decedute offre agli utenti opportunità mai viste prima. Oggi – continua l’ospite – non esiste più il confine che separa online e offline, corpo fisico e corpo digitale diventano una cosa sola. L’utilizzo che, in Italia, facciamo di Facebook, da più di dieci anni, ci permette di fruire di post, fotografie e testimonianze reali delle vite altrui. Un archivio di ricordi biografici senza precedenti…”
I dati digitali si sostituiscono, così, alle generalità anagrafiche, una sorta di finzione sociale che non ci rende, però, più mendaci e menzogneri di quanto possiamo esserlo nella quotidianità. Tutti, nelle relazioni o negli ambienti lavorativi, indossiamo scudi, i social non fanno altro che evidenziare le varie sfaccettature di noi, annullando il ponte fra presente, passato e futuro, attualizando il concetto di aldilà che diviene, in questo modo, più comprensibile.
“Nel film “Marjorie Prime” di Michael Almereyda, citato anche nel libro – spiega Sisto – si immagina un futuro nel quale ci rapporteremo con gli ologrammi delle persone a cui sono stati tolti i ricordi più emotivamente drammatici. Anche nel “Neuromante” di Gibson la dialettica fra corpo ed etere diventa motivo di interesse.”
L’eredità che postiamo sui social dev’essere un monito ad assumere più self-control anche nelle situazioni più intricate, a gestire con più raziocinio i nostri istinti, senza minacciare o offendere qualcuno, l’erostratismo positivo da tramandare a chi ci legge con assiduità.
“Da Schelling a Taffo, – precisa Davide Sisto- la morte può anche rappresentare un quesito da porsi in maniera bizzarra e allegra proprio grazie al dolore che provoca, un insegnamento etico e morale da cui imparare a dare il meglio di sé!”