Ognuno pensa di sapere le cose essenziali…

Quanti cattolici sanno oggi che cosa significa e cosa comporta esattamente l’essere stati redenti e salvati da Dio? Verrebbe spontaneo di dire che ovviamente sono molti i cattolici capaci di dare una risposta adeguata, ma purtroppo è molto dubbio che sia questa la realtà. Perché è già sul concetto o meglio sulla realtà o identità personale di quel Dio che i cattolici continuamente nominano che le loro idee appaiono estremamente generiche e confuse. La Chiesa di Gesù fu costruita dagli apostoli e dalle prime generazioni di cristiani con l’intento di unire non certo di dividere i suoi membri, benché anche nelle più antiche comunità cristiane discordie e divisioni di certo non mancassero. Oggi però essa, al di là delle sue periodiche e non di rado sonnolente assemblee liturgiche e sacramentali, è diventata soprattutto un luogo e una costante occasione di dispersione umana e di confusione spirituale e religiosa. Devo confessare che io stesso, nella mia parrocchia, nella mia Diocesi e infine nella Chiesa universale di cui faccio parte, mi sento, non saprei dire in coscienza se anche per colpa mia, del tutto isolato e, a parte rarissimi casi, impossibilitato a dialogare e a confrontarmi con fratelli e sorelle di fede in spirito di umiltà e di parresìa ad un tempo.

Prima che il distanziamento sociale, come misura di prevenzione antivirale, nelle comunità cattoliche si è insediato un distanziamento spirituale tra i fedeli che ha reso via via sempre più impraticabile una vera e profonda comunione in Cristo. Si ascolta più o meno passivamente o abitudinariamente l’omelia del celebrante, si partecipa compostamente (non sempre!) alla funzione religiosa, ci si sottopone ai doveri sacramentali in modo più o meno disinvolto, ci si saluta cortesemente con un cenno della mano o con un sorriso, ma alla fine non si verificano quasi mai tra i partecipanti contatti contagiosi di vera fede, confronti sia pure molto brevi su questo o quel tema biblico, approfondimenti di natura teologica magari circoscritti a questioni concrete della propria quotidianità o del proprio vissuto. Non c’è nessuno che dà, nessuno che riceve, nessuno che parla, nessuno che ascolta, nessuno che voglia o possa mettere a disposizione degli altri i propri ipotetici carismi e nessuno che intenda usufruire dei carismi altrui. Un amico mi dice che sono io ad essere eccessivo, non la Chiesa ad essere difettosa: non ne sono molto convinto ma le mie critiche muovono non dalla recriminazione fine a se stessa, bensì solo dall’amore, forse scomposto e un po’ caustico ma sincero, per la Chiesa di Gesù.

Ognuno pensa di sapere le cose essenziali; che bisogno c’è di sentire questo e quello oltre che il predicatore ufficiale di turno? D’altra parte, c’è la televisione, c’è Internet e i discorsi del papa, quelli che più contano, sono fruibili in ogni momento per platee molto estese di pubblico. Purtroppo, è di questo variegato e inespresso non detto collettivo che si nutre spiritualmente, non da oggi, il popolo di Dio, la Chiesa di Cristo.

Ora, a parer mio, tutto questo sarebbe forse ancora normale se la Chiesa cattolica disponesse realmente di sicuri punti di riferimento sotto il profilo dottrinario, teologico, morale e spirituale, se gli amboni risuonassero ogni settimana di discorsi sapienti, altamente ispirati e fedeli alla Parola di Dio, se nella maggior parte delle parrocchie si utilizzassero senza favoritismi e discriminazioni soggettive i carismi di tutti, se nel clero l’umiltà e la saggezza dei comportamenti prevalessero significativamente sulla superbia, sull’arroganza e la gelosia da cui appaiono significativamente segnate le condotte di presbiteri e prelati di diverso grado e ufficio. Ma temo che la situazione sia tutt’altro che prossima ad una fisiologica normalità. La gente (sempre di meno in verità) va in chiesa perché ha bisogno indubbiamente di un conforto spirituale ma che poi questo conforto spirituale le venga da una corretta e fedele proclamazione della Parola divina anziché da una Parola di Dio in qualche modo distorta o manipolata, essa generalmente non è in grado di comprenderlo o di stabilirlo e non perché si fidi ciecamente dei suoi presbiteri, bensì semplicemente per quel misto di ignoranza e di paura, di ineducazione religiosa e di sottile e quietistica viltà che trattiene i fedeli dal fare e farsi domande, dall’alimentare relazioni interpersonali costruttive che però potrebbero loro arrecare qualche danno di immagine, dal cercare insomma rapporti fraterni ma maieutici troppo impegnativi che potrebbero procurare delle crisi interiori, una qualche dolorosa conflittualità di coscienza, un imprevisto e traumatico scuotimento spirituale suscettibile di procurare una messa in discussione più o meno scomoda e costosa di inveterate abitudini mentali, stili di vita, pratiche di comportamento.

Si preferisce mantenere intatti i rapporti amicali, consuetudinari, di facciata, senza rischiare di rompere le scatole ad alcuno, di alterare certi equilibri istituzionali, di affondare il bisturi nella o nelle piaghe della parrocchia o della comunità di appartenenza. Ecco: quieto vivere, buona educazione, rispettabilità, pacificazione sempre e comunque. Queste sono parole d’ordine cui generalmente il popolo cattolico si sottopone ben volentieri: poco importa se poi ognuno e ogni singola comunità, pur professando la stessa fede, si rappresentino Dio in modi diversi o opposti, percependone l’insegnamento correttamente o arbitrariamente, e la vita comunitaria venga vissuta nel nome di Cristo in spirito di verità e carità o piuttosto con disinvolta creatività. Poco importa se nel profondo di tanti  cuori e tante realtà ecclesiali, e infine in tanta parte della Chiesa universale, covi il fuoco, l’errore, la discordia, la gelosia, l’invidia, la superbia, insomma una vita spirituale tutt’altro che pura e santa: l’importante è apparire uniti nella preghiera e negli atti penitenziali, l’importante è agire attenendosi ai canoni di una religiosità ben educata e conforme ad organigrammi e alle ordinanze della Confederazione Episcopale, a decreti vescovili, a disposizioni diocesane e parrocchiali; l’importante è amare Dio, non come e perché amare Dio, la sua santissima Madre, i santi del paradiso.

Ma la nostra fede muove dal fatto che, dice Gesù, non sono venuto a portare la pace bensì la spada (Mt 10, 34) laddove altro è la tradizione ecclesiastica di uomini che vorrebbero sempre e comunque ordine e disciplina, altro la santa Tradizione dei Padri secondo la quale non sempre ordine e disciplina sono necessari o utili al gregge del Signore. Il Signore è venuto per unire gli uomini non nelle loro falsità, nelle loro cattiverie, nelle loro ipocrisie, nella loro perfidia e nelle loro taciute perversioni; anzi, da questo punto di vista, è venuto a dividere ognuno nella sua coscienza e l’uno dall’altro anche se legati da rapporti di sangue o d’amore. L’unità e la pace volute da Cristo sono quelle che restano della divisione cui ci costringe la sua parola di verità, il suo santo ed eterno insegnamento. Ma chi ha paura di doversi esporre a questa guerra spirituale, nel rapporto con se stesso e con gli altri, non può porsi alla sequela sacerdotale o presbiterale di nostro Signore. Il fatto che invece siano molti a volersi mettere alla sua sequela, pur senza capire a fondo il significato vitale e la carica destabilizzante di questo passaggio evangelico, è una delle principali cause della progressiva dispersione di uomini e donne che, laici o “religiosi”, si professano cattolici, e della confusione dottrinaria, spirituale e pratica che tende a regnare incontrastata nella Chiesa contemporanea. Libertas est in Christo, continuano tutti a ripetere, ma mancando un vero radicamento collettivo in Dio, ci si illude di poter concorrere a costruire, a colpi di autoreferenzialità individuale o di gruppo, il Regno di Dio proprio mentre in realtà è già in fase di costruzione avanzata l’ennesima ed empia torre di Babele.


Fontehttps://flic.kr/p/zMjQsB
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Francesco di Maria è nato a Cosenza nel 1949 e, dopo essersi laureato a Firenze con Aldo Zanardo, ha insegnato storia e filosofia nella secondaria superiore fino al 2006. È tra i fondatori nel 1978 della rivista culturale "Periferia" da cui esce l'anno successivo per fondare da solo la rivista di scienze umane "Itinerari 79". Dal 1990 al 2001 dirige il Centro Studi "Antonio Banfi" di Cosenza nel cui ambito promuove e realizza molteplici conferenze e incontri di studio. È autore nel frattempo di numerose pubblicazioni: su Antonio Banfi (1989) e ancora su Banfi, Gramsci e Della Volpe (2002), sul concetto di democrazia in alcune espressioni della filosofia italiana del novecento (1992), su Francesco Bacone (1995), su temi di filosofia morale e filosofia della scienza (Saggi copernicani, 1996), su significativi "Maestri di morale" del '900 (1999). Ma dopo il 2003, a seguito di una particolare esperienza spirituale, dirotta decisamente i suoi interessi speculativi e spirituali verso un ambito di fede militante e di marcata testimonianza evangelica e cattolica. Di quest'ultimo periodo sono tre importanti opere mariane e mariologiche, la più recente delle quali è Maria da nascita a morte (2020), ma anche i due "inattuali" volumi su Quale contemporaneità di Cristo? (2019) e quello su Vangelo, democrazia e moderna Babilonia (2019). Da segnalare infine una monografia sul Pensiero di Giulio Preti (2019) e il recentissimo Pensare come pregare. Questioni di etica, scienza, filosofia (aprile 2020).