La Festa di Pentecoste, così come raccontata nel capitolo 2° del libro degli Atti degli Apostoli, descrive la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli in maniera “spettacolare”: presenza di forte vento gagliardo, lingue di fuoco, frastuono di tuoni… A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno udiva gli Apostoli parlare nella propria lingua (cfr. At 2,6).

Il linguaggio è quella capacità di entrare in dialogo con l’altro, lo scorgere nell’altro con ri­conoscente stupo­re un individuo con cui relazionarsi: è potenzialità di vita con il mondo, con l’essere umano e, nella preghiera, con Dio. Perché la lingua, come ogni altro mezzo espressivo, assolva ai propri compiti primari, quali la comprensione della realtà, il dialogo e la comunicazione, bisogna che rinunci ad ogni illusoria ansia di infinito. Senza questa consapevolezza la lingua fallisce il suo scopo.

Cosa avvenne a Babele? “…faremo una torre alta fino al cielo, così acquisteremo fama” – letteralmente: ci faremo un nome – (Gn 11,4). La costruzione di una torre con lo scopo di farsi un nome, è il tentativo di autoaffermarsi e di farlo negando ogni confine tra cielo e terra: è il tentativo di costruzione di un infinito artificiale con una ripetizione monotona dell’elemento finito (mattone su mattone). La conseguenza di questa spasmodica illimitata affermazione di sé conduce alla divisione.

A Babele avvenne a livello linguistico ciò che accade ancora oggi: laddove prevale individualismo estremo, sete di potere, ansia di prevalere, si creano prima o poi dissapori, inimicizie, si erigono barriere fra le persone.

Linguisticamente Babele è il risultato del rifiuto del limite con un’amara conclusione: vivere e progettare rifiutando il senso del limite è un andare anonimo di tutti, ognuno per la propria strada, ognuno padrone della propria vita, ogni individuo per sé. Confondere cielo e terra è un ritrovarsi divisi e dispersi sopra una terra lottizzata.

Cosa avvenne a Pentecoste? La comunità dei discepoli era in preghiera: la preghiera, quella vera, non è negare l’azione, né la sostituisce, ma è un riconoscere l’inadeguatezza delle nostre possibilità e un ricercare in Dio e nella comunità la forza e la direzione per le scelte. C’è inoltre un linguaggio che è in grado di creare unità e comunicazione al di là di ogni divisione. Questo linguaggio lo si può apprendere se ci si sa ridimensionare, se ci si pone in ascolto per creare coinvolgimenti preziosi e capaci.

Come a Babele, anche il dopo Pentecoste è caratterizzato dalla dispersione: questa non è più una dispersione anonima, nell’indifferenza, per perseguire i propri interessi, ma un perdersi nel mondo e nella storia come il sale …“voi siete il sale della terra” (Mt 5,13).

La storia non è solo il luogo dell’agire umano, ma anche l’ambiente dove recepire nuovi stimoli e aperture: i fatti sono più grandi delle idee, anzi le idee devono lasciarsi in­terrogare dalla vita e dalle mille storie che ci ruotano attorno. Pentecoste, quindi, piuttosto che una storia da documentare, diventa un ideale da perseguire, ricostruendo, rianimando e recuperando i pezzi disintegrati della vita con i discepoli sparsi nei quattro punti della terra alla ricerca dei dispersi delle varie Babele da riscattare e riabilitare.