Secondo il parere dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), “è quasi impossibile contare il numero di strutture che dividono le popolazioni sulla base delle differenze di censo, lingua, nazionalità o per impedire ai migranti di raggiungere i paesi più sviluppati”.
Vi diamo di seguito un elenco dei “muri vip”, quelli più noti, ma state certi che la lista potrebbe essere sorprendentemente più lunga. L’anno tra parentesi indica quello di costruzione. Sarà nostra cura informarvi su quello di demolizione…
La ZDC tra Corea del Nord e Corea del Sud (1953). È lunga 240 chilometri e larga 4 km: la chiamano Zona demilitarizzata coreana (ZDC) e separa le due Coree lungo la linea del 38° parallelo, secondo quanto stabilito nell’armistizio del 1953. Nel bel mezzo della ZDC, corre la Linea di demarcazione militare coreana, ovvero la linea del fronte di guerra al momento dell’armistizio.
Muro della pace (Irlanda del Nord, 1969). “Linee della pace”: così le chiamano, un bell’esempio di eufemismo per indicare il fronte di separazione a Belfast, in Irlanda del Nord. Separano la comunità cattolica da quella protestante e sono di misure variabili, da alcune centinaia di metri fino a 5 chilometri e pare che siano in tutto 99. Il conflitto, durato trent’anni e costato migliaia di morti, è chiuso dal 1998, ma le “linee della pace” restano: ufficialmente, come attrazione turistica, in realtà, a sancire, non solo simbolicamente, una separazione di fatto immutata. È recente la notizia della costruzione di una nuova recinzione, nella zona nord di Belfast, per “proteggere” il parco di una scuola elementare.
Linea verde (Cipro, 1974). Divide la parte meridionale di Cipro, a maggioranza greca, da quella settentrionale, sotto il controllo dei Turchi che la invasero nel 1974. È lunga 180km, corre da Kokkina a Famagosta e spezza in due anche la capitale, Nicosia. Dal 2003, il confine è riaperto, le comunità possono oltrepassarlo, ma la barriera è ancora lì.
Marocco/Sahara Occidentale (1980). Lo chiamano anche Berm o Muro Marocchino o Muro del Sahara Occidentale. I saharawi, cioè abitanti del Sahara Occidentale, e il Marocco rivendicano entrambi questo territorio da quando, nel 1976, la Spagna si è ritirata, ponendo fine alla sua occupazione. Il Marocco ha cominciato a costruirlo nel 1980. È lungo oltre 2700 km e ha composizione varia: sabbia, pietra, filo spinato, fossati e campi minati. Anche per questo, il suo nome più noto è “muro della vergogna”.
[Il muro della vergogna, foto: www.lavocedinomas.org ]
Il confine India-Pakistan e la “Linea di controllo” (Kashmir, 1980-1990). Filo spinato, barricate, recinzioni di vario genere e, naturalmente, muri segnano più della metà dei 2900km di confine tra India e Pakistan. L’intenzione del Governo indiano è di estenderlo per l’intera lunghezza del confine. Ufficialmente, serve a frenare i passaggi delle milizie del terrore. Mentre a Berlino buttavano giù il loro muro, barriere di filo spinato, mine antiuomo e altri dispositivi ad alta tecnologia creavano la “Linea di Controllo”, il confine de facto tra India e Kashmir. Sarà per questo che l’hanno ribattezzata col nome, decisamente naif, di “Muro di Berlino” asiatico. L’hanno completata nel 2004. Chissà quando l’abbatteranno.
Il muro di metallo tra Stati Uniti/Messico (1994). Oltre 1000km, dei 3200 lungo il confine tra il Messico e gli Stati Uniti, sono occupati da un muro di metallo, alto 5 metri, che serve a bloccare il flusso di clandestini dal Messico. La sua costruzione è partita nel 1994, per una spesa di 2,5 miliardi di dollari. È chiamato anche muro messicano o muro di Tijuana, ma per i Messicani è semplicemente il “Muro della vergogna”. La Commissione nazionale messicana dei diritti dell’uomo ha fatto sapere che sono più di 5.600 gli immigrati clandestini morti nel deserto, nel tentativo di attraversare il confine. Al muro di metallo gli Stati Uniti stanno affiancando un “muro virtuale”, munito di sensori a raggi infrarossi, telecamere, radar, torri di avvistamento.
Marocco/Spagna (Ceuta e Melilla, 1995). Dal 1995, Ceuta e Melilla hanno assunto lo status di città autonome, due enclavi spagnole che sorgono sulle coste africane, al di là dello Stretto di Gibilterra. La Spagna ha pensato bene di realizzare una barriera filo spinato. È costata 30 milioni di euro, ma l’ha pagata la Comunità Europea. Si compone di due recinzioni parallele alte 3 metri, con posti di vigilanza, sensori elettronici, illuminazione ad alta intensità e strade per lo scorrimento delle autoblindo delle forze dell’ordine spagnole. Vogliono portarla a 6 metri di altezza e Frontex benedice l’iniziativa. Lasciamo a voi il giudizio sulla foto che immortala i ricchi figli d’Occidente giocare a golf, incuranti del fatto che, a pochi metri, immigrati disperati provano a scavalcare la recinzione.
[Chi gioca a golf e chi prova a sfuggire alla disperazione, foto: Il velino]
La “barriera di separazione israeliana” tra Israele/Palestina (2002): è ancora in costruzione e, quando sarà ultimata, sarà più di 800km, ben oltre il doppio del confine tra Israele e Territori Occupati di Palestina, meglio noti come West Bank o Cisgiordania. La presentazione di questo inaudito ujmuro di apartheid meriterebbe una trattazione a parte. È alto da 8 e 12 metri, con blocchi verticali di cemento armato o, nel deserto, con doppie reti di filo spinato. Spacca Gerusalemme in due, spacca le case in due, inglobandole nel Muro. In alcuni tratti, ci sono anche fossati, sensori, sabbia – per identificare le impronte – strade di pattugliamento e “zone cuscinetto” fino a 60 metri di larghezza, che spaccano in due gli sparuti terreni agricoli dei palestinesi. Questo perché ’85 per cento del Muro è eretto su terra palestinese, mentre appena il 15 per cento segue la cosiddetta Green line. La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, nel 2004, ha dichiarato illegale la barriera, ma Israele prosegue imperterrito nella edificazione di quella che chiama “barriera di sicurezza.
[Il Muro dell’Apartheid israeliano che attraverso l’uliveto di un contadino palestinese, foto: invisiblearabs.com ]
La rete elettrificata tra Botswana e Zimbabwe (2003). Corre lungo la frontiera tra i due Paesi, è alta 2 metri e lunga 500km. Ha come sua ragione ufficiale quella di bloccare gli animali selvatici che intendano trascorrere da un Paese all’altro. La verità è che una barriera con cui il Botswana impedisce il passaggio di profughi in entrata dallo Zimbabwe.
La barriera tra Iran e Pakistan (2007). Il Pakistan, che già si vedeva “murato” lungo il confine con l’India, a partire dal 2007, si è visto chiudere da un muro anche lungo il confine con l’Iran, nell’area del Belucistan. La barriera è fatta di cemento, fossati e filo spinato. Naturalmente, per il Governo iraniano serve a contrastare attività illegali, quali il traffico del mercato nero, quello di droga e l’immigrazione clandestina. A opera compiuta, la recinzione, detta anche “muro antidroga”, sarà lunga 700km e alta 3m.
La barriera tra Grecia e Turchia (2011). Il primo tratto, di poco più di 10km, è stato ultimato nel 2012. Il progetto complessivo, varato nell’anno precedente, prevede una realizzazione lunga circa 150km, lungo il fiume Evros (che i Turchi chiamano Maric), tra il confine greco e quello turco. Cemento, acciaio e filo spinato e un fossato lungo 120 km hanno lo scopo di rendere non guadabile il corso del fiume e arrestare il flusso bloccare dei migranti clandestini provenienti dalla Turchia.
Come si vede, l’elenco dei “muri della vergogna” che hanno preso il posto di quello di Berlino è davvero lungo e la lista potrebbe ancora continuare. Per non parlare del muro un muro d’acqua, che separa la miseria del Nord Africa dall’opulenza europea, c’è un muro anche a Rio de Janeiro, ufficialmente per far sì che le baraccopoli non occupino la foresta, in realtà per rinchiudere i poveri definitivamente nei loro ghetti. Ma lo sapevate che anche una città italiana si è costruita il suo bel muro? Ebbene, sì! Si tratta di Padova, che lo ha costruito nel 2006. È una recinzione lunga 80 metri e altra 3, è fatta di pannelli di lamiera, fermati da montanti in ferro, e serve a isolare il complesso residenziale di via Anelli dalle abitazioni di via De Besi. Quest’ultima è chiusa al traffico non residenziale e al suo ingresso sono stati installati due posti di blocco. Motivo ufficiale: contenere lo spaccio di droga.
A ciascuno il suo muro… della vergogna!
[Il muro di Padova, foto: www.demopazzia.it ]
Paolo Farina
[Foto di copertina: Alessandro Inchingolo]