«Si possono insegnare tante cose, ma le cose più importanti, le cose che importano di più, non si possono insegnare, si possono solo incontrare»
(Oscar Wilde)
«Cosa hai da perdonarti?», «Cosa hai da perdonare?», «Chi è il prossimo?»: no, non sono le domande di un prete in confessionale. Sono solo alcune delle domande che ho posto nei giorni scorsi, in veste di dirigente scolastico, ai miei ventidue docenti che concludevano il loro anno di prova e che si sottoponevano all’esame del comitato di valutazione prima della definitiva immissione in ruolo.
Tra le altre domande, ricordo: «Che cosa ti rallegra di più?», «E che cosa ti terrorizza di più?», «Qual è primo dovere di un docente?», «Qual è la prima aspettativa che gli studenti legittimamente nutrono nei confronti dei docenti?», «Una parola per riassumere la funzione docente?», «Potresti vivere senza alunni?», «Ti commuovi per loro?», «Quanto ne sei orgoglioso?», «Una parola chiave?», «Cosa si deve fare ogni giorno a scuola?», «Di cosa hai bisogno?»…
C’era anche qualche domanda più specifica, ma te la risparmio. Ti risparmio anche il dettaglio delle risposte che attendevo a ciascuna di queste domande, anche se non rinuncio a riassumerle per cenni.
È venuto così fuori che un docente deve perdonarsi di non essere perfetto. E che deve perdonare a colleghi, alunni, personale non docente e dirigente, di non corrispondere alle sue aspettative e di essere esattamente e solo quel che sono: persone fragili, incomplete e sempre perfettibili, proprio come me.
È venuto fuori che il prossimo sono io, perché sono io quello chiamato a prendermi cura dei miei alunni e della mia comunità educante, io che devo farmene carico, io che devo metterci il “di più”, io che non posso e non voglio fermarmi a “quel che mi tocca o non mi tocca fare”.
O almeno che devo fare tutto questo se voglio essere felice …Sì, perché è questo il primo dovere di un docente (e di un dirigente): essere felice. Perché non può occuparsi della felicità altrui chi non ha cura della propria.
È emerso anche che quello che più può e deve rallegrare un docente è lavorare alla felicità altrui, ma anche che questo dovrebbe e potrebbe fargli tremare i polsi al pensiero di quale responsabilità comporti il potere di incidere, con le proprie parole e con il proprio stile, sulle vite altrui.
E, conseguentemente, è apparso evidente che la prima aspettativa che gli alunni nutrono nei confronti di un docente non è che egli sia competente, quello dovrebbe essere scontato. E quando ciò non avviene loro ti perdonano, specie se lo ammetti a te stesso prima che a loro. Così come ti perdonano se non hai passione per quel che fai: il che, casomai, li induce a compatirti: «Povero sfigato, fa un lavoro che non gli piace e lo pagano pure poco!».
Quello che gli studenti non ti perdonano, e ne hanno tutto il diritto, è se non gli vuoi bene, è se non li guardi negli occhi, è se per te loro non hanno un volto. La loro prima aspettativa è tutta qui e capiscono se la soddisfi già cinque minuti dopo che sei entrato in classe per la prima volta.
Quasi dimenticavo: non è che ho dovuto spiegare tutto questo ai miei docenti, vecchi e nuovi. Mi sono limitato a ricordarlo loro. Perché io, com’è ormai noto, sono dirigente scolastico di un CPIA e al CPIA ogni docente è ben consapevole della sua dignità – il che significa anche responsabilità – e trova nella passione la sua parola chiave, sapendo che ogni giorno deve aprire porte e seminare luce.
E soprattutto, che abbia in classe italiani o migranti, giovani o persone avanti negli anni, non inizia mai una lezione senza guardare negli occhi ciascuno dei suoi alunni e chiedergli, magari senza usare parole: «Dimmi, di cosa hai bisogno oggi?».
Che figata, la mia scuola. Che belli i miei docenti. Mi riempiono di orgoglio e gratitudine. Dovreste venire a vederli: c’è posto per tutti al CPIA!
Gibran: «Se un insegnante è davvero saggio non ti offre di entrare nella casa della sua saggezza ma piuttosto ti conduce alla soglia della tua mente».
Friedrich Hölderlin: «“Perché, Santo Socrate, veneri sempre questo giovane? Non conosci niente di più grande? Perché il tuo occhio guarda a lui con amore, come agli dèi?” – “Chi ha pensato il più profondo, ama il più vivente, chi ha indagato il mondo, comprende l’alta gioventù e spesso i saggi inclinano alla fine verso il Bello”».
Don Lorenzo Milani: «Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola. […] Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola».