
«Eh certo! Siccome uno fa il ferramenta non gli può interessare l’arte moderna. Bravo, bravo! Continuiamo a ragionare per luoghi comuni! Bravo!»
(Giacomo Poretti)
Caro lettore, adora lettrice,
emancipare viene dal latino: e manu capio, cioè “prendo dalla mano”. Cosa è che prendo? Un ceffone, ripetuto per tre volte, con il quale, nell’antica Roma, il padre concedeva la libertà al proprio figlio divenuto maggiorenne o uno schiavo riceveva la libertà dal suo signore e padrone. In realtà sto semplificando, la descrizione sarebbe un po’ più lunga e occorrerebbe precisare, ma in questa sede preferisco darti il “sugo della storia”, come direbbe Manzoni.
E proprio nella città di Manzoni, tra il 18 e il 20 gennaio scorsi, ho avuto la fortuna di partecipare al convegno organizzato dalla RIDAP, la rete nazionale per l’istruzione degli adulti, il cui tema era: «L’istruzione che emancipa. CPIA e sviluppo dei territori».
Anche qui, avrei molto da provare a raccontare, ma ancora una volta vengo al “sugo”.
Nella mattinata di apertura, a Palazzo Reale, abbiamo avuto la sorpresa di ascoltare un intervento generosissimo di Giacomo Poretti (sì, proprio lui, quello del trio “Aldo, Giovanni e Giacomo”…).
È stato magnifico. Quando ha terminato, io ho detto ai professori che erano con me: «Possiamo anche andarcene. Ha detto tutto quello che dovremmo imparare in questi tre giorni. E anche di più…».
Giacomo ci ha raccontato della sua esperienza scolastica, dalla scuola elementare a quella di avviamento professionale – sì, perché fino al 1962 la scuola media, in Italia, non era uguale per tutti: c’era ancora quella per i figli dei ricchi, che ti permetteva di accedere poi al ginnasio, e quella dei figli dei poveri, che dopo la licenza media erano destinati a lavorare nei campi o a farsi operai.
Giacomo era povero. Giacomo ha fatto la scuola di avviamento professionale in agraria.
Giacomo a un certo punto ha detto (cito a memoria): «Ognuno ha talento. Basta scoprirlo. Ci vuole talento per qualsiasi cosa si faccia nella vita».
Ho pensato: ci vuole talento anche per scoprire i talenti.
Vorrei dire: soprattutto per scoprire i talenti.
E infatti Giacomo ha immediatamente sottolineato la difficoltà del mestiere dell’educatore, prima ancora che del docente, colui che deve saper sostare sulla «soglia dell’insondabilità» del suo allievo.
Io non sono Giacomo Poretti e sono persino laureato – Giacomo ha raccontato di quanta invidia provi per chiunque sia laureato o anche solo diplomato, lui che dalla scuola è stato respinto… – e non avrò mai il talento di Giacomo: ma in comune con lui ho la fortuna delle radici, posso vantare un nonno analfabeta e un papà che, come lui, è stato iscritto alla scuola media di avviamento professionale.
Perché anche il mio papà era troppo povero per andare al liceo e infatti è andato in Germania: da emigrante, da solo, a 20 anni, e senza conoscere una parola di tedesco. Un po’ come accade ai tanti migranti che oggi attraversano il deserto, poi il mare e infine, se non muoiono in viaggio, arrivano nella mia scuola.
La mia scuola è un CPIA, uno dei 130 CPIA italiani ovvero l’1,3% delle 8000 scuole statali nel Belpaese.
Molti mi chiedono cosa sia, di preciso, un CPIA. Bene, è un luogo dove gli adulti si emancipano, dove ci sono docenti che sanno distinguere tra istruzione ed educazione, sanno fare benissimo entrambe le cose e sanno sostare sulla soglia della insondabilità dei propri discenti adulti.
Il CPIA è davvero la scuola per tutti: che siano italiani, tantissimi…, o stranieri, numerosi anche loro. Al CPIA non si manda indietro nessuno, a qualsiasi età. Accogliamo alunni dai 16 a 100 anni. Non scherzo: abbiamo davvero alunni che sfiorano i 90 anni.
Che bella la mia Scuola. Che bella ogni Scuola. Che bella la Scuola che emancipa, che accoglie e non respinge, che non si comporta come un «un ospedale che cura i sani e respinge i malati».
Che bello sognare che ci sia ancora una possibilità per tutti, che si possa arrivare alla laurea anche se non sei il figlio del dottore: o magari del preside.
E lo so: non sempre succede, non succede per tutti e ci saranno sempre i “figli di papà” e i raccomandati.
Ma succede che ci si possa emancipare a Scuola, succede più spesso di quanto si possa immaginare: ed è ogni volta che succede che si realizzano e si costruiscono democrazia e liberta, giustizia e solidarietà, futuro e presente.
Caro lettore, adorata lettrice, se sei arrivato fin qui nella lettura, permettimi un consiglio: prenditi venti minuti (a noi che l’abbiamo seguito in diretta sono parsi solo tre…), vai sul sito della RIDAP e ascoltati per intero la narrazione autobiografica di Giacomo Poretti: bisognerebbe dargli una laurea honoris causa solo per questo! Diteglielo a quel preside che l’ha cacciato via quando, a più di 50 anni e ormai famoso, Giacomo si è presentato nel suo liceo perché voleva prendere la maturità classica.
Salvo essere messo alla porta.
Don Lorenzo Milani: «Se si perde i ragazzi difficili, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati».
Mario Lodi: «La scuola la vorrei senza pagelle e con tante cordiali chiacchierate coi genitori, perché, alla fine, invece di una bella pagella, si abbia un bel ragazzo, cioè un ragazzo libero, sincero, migliore comunque».
Il Maestro Manzi: « Cari ragazzi di quinta, Abbiamo camminato insieme per cinque anni. Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti […]. Se qualcuno, qualcosa vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me, e io di voi».
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Sembra un articolo scritto per descrivere la nostra magnifica scuola, il 1°CD Hero Paradiso di Santeramo, che da sempre si distingue per l’accoglienza e la valorizzazione di ogni unicità
Che bello! Sono convinto che siano davvero tante le scuole accoglienti. Grazie, Sabrina.