
«Più un uomo sa, più è disposto ad imparare.
Meno un uomo sa, più è necessario che sappia tutto»
(Robert G. Ingersoll)
Caro lettore, adorata lettrice,
eccoci qui, dopo la pausa ferragostana, che personalmente ho speso per qualche giorno di assoluto relax, accolto da amici stra-ordinari, in quel dell’Altopiano di Asiago, in un posto magico che risponde al nome de “La Moretta” dove, a iosa, si ripetono miracoli di amicizia e ospitalità.
Il patriarca e la matriarca della Moretta si chiamano Paolo e Francesca, proprio come i più celebri protagonisti del canto dell’Amore, e per amore anche loro hanno creato un angolo di paradiso dove le “anime affannate” possono posare le stanche membra, mentre la bufera infernal …si tace.
La Moretta
Riconosciuto, sia pure in minima parte, il mio debito di gratitudine nei riguardi dei miei generosi anfitrioni, è su un particolare che vorrei intrattenerti per il nostro caffè: quando l’ho letto, ci ho riso di gusto, poi, come al solito, è partita la riflessione…
Immagino tu abbia già notato la foto di copertina. L’ho scattata nella toilette di un ristorante dopo una bella scalata su in Cima Vezzena. Vi si legge: “Si prega ai signori e alle signore di togliere il cellulare dalle tasche prima di usufruire della turca… per evitare spiacevoli inconvenienti. Grazie”.
Ora, sorvolerei pure sull’italiano incerto, ma non posso esimermi dal chiedere: ma tanto ci vuole a farsi correggere una frase da chi sappia leggere e scrivere prima di affiggerla in un locale aperto al pubblico e coprirsi di ridicolo? Davvero si prega ai signori e alle signore? E che dire di questa fantomatica e non meglio precisata signora o signorina “turca” che dovrebbe essere “usufruita” in bagno?
In realtà, superato l’aspetto tragicomico dell’avviso, è sugli “spiacevoli inconvenienti” che si vorrebbe evitare ai cellulari che il mio pensiero si è appuntato.
Ci pensi? Un tempo, avvertenze di questo genere, nei ristoranti e in altri luoghi pubblici, invitavano a “fare centro”, a lasciare il wc pulito così come lo si vorrebbe trovare o, ancora, a gettare gli assorbenti negli appositi cestini per i rifiuti.
Ora invece, croce e delizia, è dei cellulari che ci si preoccupa, affinché non cadano nelle fauci della “turca”, cosa che, verosimilmente, deve essere già successa a più di un incauto “usufruttuario”.
Rido e piango, perché mi pare un segno dei tempi. Gli stessi che ci vogliono sempre connessi. Che ci costringono allo “smart working”, che sarà intelligente per chi lo ha escogitato, ma ci rende schiavi del lavoro senza tempo perché svolto in ogni tempo, vacanze incluse.
Tempi che fanno sì che, extrema ratio, sia statisticamente più probabile che si dimentichi un neonato in macchina, piuttosto che un cellulare.
E qui mi taccio, perché non ho soluzioni né ricette.
Ma una convinzione sì, ferma e assolutamente radicata nella mia fiducia nell’umano: la responsabilità non è dello “strumento”, la responsabilità è di chi lo usa.
Perché è la persona che fa la differenza, non la circostanza, tanto meno lo strumento.
Nicolás Gómez Dávila: «Tra poche parole è così difficile nascondersi come tra pochi alberi».
Josh Billings: «Il miglior momento per tenere a freno la lingua è quando senti che devi dire qualcosa per non scoppiare».
San Francesco di Sales: «Abbi pazienza con tutte le cose, ma soprattutto con te stesso».