Con postilla del direttore…

Caro Direttore,

con il tuo permesso, mi prendo la licenza di scriverti per fatto personale. Manca un mese ai miei settannt’anni, e questo può importare a me e ai miei cari. Eppure, una coincidenza rende non più privata la questione. Fulmine a ciel sereno, arriva la notizia, anzi la decisione degli scienziati competenti che si diventa “anziani” – omaggio al politicamente corretto verso i “vecchi” – a settantacinque anni. Ammetto che ci sono rimasto un po’ male. Alla mia bella età mi ritrovo “rimandato” come uno scolaretto di scuola media. Mi manca un mese a diventare “vecchio”, e invece toccherà aspettare cinque anni per essere considerato “anziano”. Toccherà aspettare, a mio rischio e pericolo, il diritto alla vecchiaia, sempre che Sorella morte non decida di occuparsi di me prima del tempo e delle statistiche. Se accadesse, i miei cari dovranno anche sopportare l’insulto del tempo, della scienza e delle statistiche: sarò morto “giovane”. Bella consolazione!

Perchè ci sono rimasto male alla notizia? Forse sono un po’ fuori moda, ché oggi tutti tentano di sentirsi giovani. Tutti raccontano che i loro nonni erano vecchi decrepiti anche a sessant’anni, e che non c’è paragone con l’oggi. Cosa vera, anche se mitigata dalla constatazione che, per un bambino, è vecchio anche uno di vent’anni. Ho memoria abbastanza nitida di quando avevo quattro-cinque anni. Mia mamma, buonanima, ne aveva meno di trenta e la ricordo giovane e bella, sua madre ne aveva cinquantacinque e la ricordo già imbiancata, il che non le impedì di andarsene a novantacinque anni suonati. Mio padre a quarant’anni era giovane e forte, a cinquanta comiciava a declinare, ma guai a chiamarlo anziano, oggi sarebbe un ragazzino un po’ usurato. Mio nonno materno era asciutto e forte anche a ottant’anni, un ictus lo fermò per tre anni, ma lui lottò come un leone: dalla sedia a rotelle tornò al bastone, cedette a ottantasette anni, spirò annusando un finocchio per sentire la terra un’ultima volta. Racconto questi ricordi, prima perché ho chiesto il permesso per fatto personale, poi perchè le vite e le morti che ho conosciuto mi sembrano tutte diverse, oltre le statistiche. Le vite e le morti sono tutte diverse, perchè gli esseri umani sono tutti diversi.

Che cosa succederà adesso a noi poveri vecchi mancati? Parlo per me. Tocca rimettersi a lavorare per non contraddire la scienza, e va pure bene. Ma ho il timore che la mia agognata vecchiaia non ci sarà neanche a settantacinque anni, se Dio mi concede di arrivarci. La mia voglia di essere vecchio ha a che fare con il mio narcisismo, con l’aspettativa di essere finalmente capito ed accudito. Vivo da trent’anni quest’attesa, da quando, al quarantesimo compleanno, passai tre giorni a guardare il soffitto. Ero smarrrito, la scomparsa del tre mi aveva riempito di angoscia. Sentivo la fine avvicinarsi, allora mi diedi come obiettivo l’invecchiare bene, nella mia testa, non in palestra o a tavola. Era l’ottimismo della volontà. Passai i cinquanta e i sessanta senza farla lunga. Cominciai a prepararmi per i settanta, finalmente vecchio o, peggio, anziano. Ma adesso mi viene un sospetto che, parlandone da vivo, se arrivo ai settantacinque, mi avranno di nuovo alzato l’asticella. E allora decido di puntare direttamente ai novanta. Questa volta non mi fregano!

Postilla del direttore

Ecco, il fatto è che si avvicina la data della presentazione del libro “Lettere a Odysseo”, che raccoglie molte delle perle che Tonino Del Giudice ha scritto indirizzandole a me, ma pensando a tutti i lettori di Odysseo. E vi devo confessare che sono in tanti a ringraziarmi per aver convinto Tonino, che si sentiva “giornalista in pensione”, a sfoderare di nuovo la penna, o meglio la tastiera. In più, ce ne sono tanti che, toccati nel vivo dalle sue analisi, ogni tanto mi chiedono di censurarlo: me ne guardo bene, ovviamente, e me lo coccolo, il mio Tonino. Ma quest’articolo quasi quasi lo avrei stoppato. Ma come? Vecchio? Ma vogliamo scherzare? Non se ne parla! Nemmeno a novant’anni!

…Tonino, fattene una ragione.

“Lettere a Odysseo” sarà presentato il 6 dicembre a Pescara e il 10 dicembre ad Andria. Per chi vuole, il libro è già ordinabile online. Vi aspettiamo!


Articolo precedenteLo smorfia. Conte conta lu pilu
Articolo successivoI pastori di Caravaggio
Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).

4 COMMENTI

  1. Ringrazio il Direttore dei buoni propositi e dei buoni auspici. Ho promesso di puntare ai novanta e vado avanti. Ché poi non ci sono tante misure intermedie: per quanto mi riguarda, la differenza è tra i vivi e i trapassati. Altro che statistiche!

  2. Mi piace Antonio quando scrive anche se a volte (direi pure spesso) non ne condivido le parole ed i pensieri. D’altronde cos’è la vita senza il bello della diversità. Questo articolo però mi avvicina in maniera diretta e senza scorciatoie ma altrettanto non inspiegabilmente. Perché? Perché aldilà delle ideologie c’è l’uomo, il padre, il nonno … come un po’ in tutti noi … un “ad maiora semper” per quanto fatto e per ciò che farà ancora.

  3. Auguro ad Antonio Del Giudice di mantenere sempre la freschezza delle idee, perché non sono certo il numero di anni della vita quello che conta per rimanere giovani, ma la vita che si mette in quegli anni. Ci sono persone che rimangono giovani anche a 70 anni ed altre che sono vecchie già a 20.
    Prendo in prestito le parole di Robert Kennedy per augurare lunga sapiente giovinezza ad Antonio Del Giudice e a tutti quei maestri di vita: “Questo mondo richiede le qualità dei giovani: non di uno stato anagrafico, ma di uno stato d’animo, un temperamento della volontà, una qualità dell’immaginazione, una predominanza del coraggio sulla timidezza, del desiderio di avventura oltre l’amore della semplicità “.
    AD MAIORA

  4. Ringrazio Giuseppe e Antonio dell’incoraggiamento. Una sola precisazione a Giuseppe, con gratitudine perché me ne dá l’occasione. Ieri, da giovane, ho sposato pezzi di ideologie non sempre giuste. Oggi, da diversamente giovane, cerco di sposare qualche ideuzza quando mi convince. Sono convinto, per esempio, che la nuvola populista prima o poi porta la pioggia fascista. Questa è semplicemente la Storia. Su tutto il resto possiamo discutere.

Comments are closed.