L’Adorazione dei pastori: una scena umanissima e insieme scandalosa

L’Adorazione dei pastori del Caravaggio mi affascina sin da Liceo e, come tutte le cose profonde – e talvolta semplici allo stesso tempo –, non ne so spiegare il motivo. La tela fu dipinta dal celebre artista nel 1609 e attualmente è conservata nel Museo Regionale di Messina.

La tela rappresenta una scena umanissima e insieme scandalosa: una giovane e povera mamma ha appena dato alla luce il suo figlioletto in una stalla diroccata, ed ora, sdraiata per terra, lo regge tra le sue braccia. Accanto alla madre, il padre Giuseppe e tre pastori accorsi per rendere l’omaggio della loro visita al bambinello. Dov’è lo scandalo? Quel bambino è il Figlio di Dio, Dio egli stesso! E nasce in un ambiente dimesso, nell’assoluta povertà di una stalla «perché per loro non c’era posto nell’alloggio».

«Non nasce tra oro e ricchezze ma in mezzo al letame di una stalla (non c’è stalla dove non ci sia letame) dove si erano accumulati i nostri peccati più sordidi. “Dal letame rialza il povero” dice il salmo 127. Gesù nasce in mezzo al letame. Questo è un motivo di consolazione per chiunque sia povero» (San Girolamo).

Qui è lo scandalo: nell’essere povero di Colui che è il Re dell’universo. Tutta la vita del Figlio di Dio è un inno alla povertà. Per Cristo la povertà non è il tema di una fredda predica piena di oratoria, ma vuota di vita. Al contrario, essa è la condizione previa della sua incarnazione. Cristo «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso…». La povertà è da Lui vissuta senza sconti, nella sua carne viva. Nasce in una stalla, viene adagiato su un po’ di paglia ed è costretto a fuggire ancora pargolo per scampare alla morte per mano di Erode. Inizia la sua vita pubblica dichiarando felici i poveri, non ha una casa dove poggiare il capo e muore su un pezzo di legno, insultato e deriso dai passanti. Dalla mangiatoia alla croce non vi è che un unico filo rosso che unisce e riannoda tutta sua vita: la povertà, la debolezza, la semplicità di cuore, l’umiltà.

Forse per questo mi affascina la tela del Caravaggio: per il coraggio e il crudo realismo con cui rappresenta la nascita del Cristo. Tutto infatti esprime miseria e povertà, dalla grotta agli astanti. La donna che ha appena partorito è sfinita e pensosa, simile a quelle donne costrette a dare alla luce i loro figli in barche o scialuppe di fortuna, mentre attraversano il mare in cerca di pietà. I pastori che per primi e senza indugio vanno ad adorare il bambino, sono rappresentati in tutta la loro miseria, a piedi scalzi e con le spalle scoperte, come gli uomini e le donne scalzi e spogliati della loro dignità che ieri attendevano la morte nei campi di concentramento e oggi non hanno di che vestirsi perché hanno perso tutto sotto le macerie di una casa crollata dopo un’alluvione, un terremoto o una guerra. E il bambino, inerme e indifeso, quasi non si vede, avvolto com’è tra le pieghe della veste rossa (richiamo al sangue che verserà sulla croce?) di sua madre. Egli è come i tanti che fatichiamo a vedere perché costretti ai margini della società, nascosti nei meandri di una vita non più capace di riscaldarsi al sole dell’amore. È così che volevi nascere, Signore?

La tua maestà ci è nascosta,

la tua bontà ci è visibile.

Tacerò, Signore, della tua maestà

e parlerò della tua bontà.

La tua bontà ti fece pressione

perché ti inchinassi verso di noi empi.

La tua bontà fece di te un bambino,

la tua bontà fece di te un uomo.

(Efrem il Siro)


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Mi chiamo Michele Carretta, sono nato il dieci Aprile del 1986 e vivo ad Andria. Figlio unico, credo nei valori alti della famiglia, dell’amicizia, l’amore e in tutto ciò che umanizza la vita e la rende più bella. Mi piace leggere, andare al cinema, suonare e ascoltare musica. Attualmente sono laureando in Letterature comparate, con una tesi sulla Divina Commedia e il Canzoniere di Petrarca, e direttore dell’ufficio Musica Sacra della Diocesi di Andria.