Cinque domande, cinque risposte…
Chi ? Samara è un’adolescente giapponese (Sadako) con lunghi capelli neri che le coprono il viso e letali poteri “paranormali”. Sadako Yamamura, invisa a tutti anche a causa delle facoltà ESP, viene violentata, uccisa e gettata (ancora viva) in un pozzo nel sanatorio dove si era recata a trovare il padre. La morte, tuttavia, non le impedisce di uccidere (a sua volta), entro una settimana dalla visione, chi assiste alla proiezione di una “videocassetta” di immagini terrificanti.
Quando ? La vicenda trae origine da un racconto nipponico al quale si è ispirato il romanzo The Ring (リング Ringu) di Kōji Suzuki, cui ha fatto seguito un primo film giapponese del 1998, una saga holliywoodiana di 3 episodi e persino il corredo di una versione parodistica.
Dove ? Samara, un po’ come Salvini tra luglio e agosto, compare ovunque: diversi quartieri della Capitale, Agropoli (Campania), Catanzaro, Manfredonia (nel cimitero), Torre del Greco (Campania), Barcellona Pozzo di Gotto (Sicilia), Fluminimaggiore (in Sardegna, zona Sulcis), Andria. Come quella di Salvini, l’apparizione di Samara genera scompiglio, manifestazioni di terrore e altre più o meno sfumate reazioni che in alcuni casi (com’è successo ad Andria) hanno richiesto il massiccio intervento delle forze dell’ordine per contenere i tumulti e il turbamento dell’“ordine pubblico”.
Perché ? Il Samara challenge mette a nudo quanto siano fragili e isteriche le nostre società iper-connesse. Bastano una parrucca e un lenzuolo per innescare la “peste emozionale” (Wilhelm Reich) che, come il magma di una caldera iperattiva, cova nell’intrigo fittissimo e pervasivo delle nostre comunicazioni. Compete ai competenti cercare di analizzare, comprendere e, se possibile, indicare soluzioni o perlomeno rimedi per attenuare questa condizione così pericolosa per la trama, sempre più delicata, delle istituzioni liberal-democratice. Di sicuro il consenso, senza il quale non possiamo nemmeno pensare una democrazia, appare sempre più come l’elefante nel “negozio” di regole fragili che delimita il “demos”, impedendo le esondazioni nella tirannia e nel dispotismo. Di più, azzardo solo l’accostamento con la riflessione di Eugenio Borgna sulla rimozione della fragilità, intesa come condizione di sensibilità, delicatezza, gentilezza, vertigine tra la gioia e la tristezza, instabilità, solitudine, straniamento, vulnerabilità, finitudine e persino angoscia. È l’eclissi totale e definitiva dell’ombra che Borges elogia: “Nell’ombra un Altro so, di cui la sorte è stancare le lunghe solitudini”. Siamo come pianeti in rotazione sincrona, che il sole inaridisce fissando per sempre la diarchia tra estate e inverno, luce e tenebra.
Cosa ? In questo contesto, Samara Challenge fa divampare la passione per la punizione (Didier Fassin) che pervade la lava dei vulcani social. È biasimevole lo scherzo, più o meno idiota, che svela la fragilità della “vittima”, merita di essere punito, a mani nude da chi è stato spaventato o dalle forze dell’ordine. Fughe, inseguimenti, disordini con buona pace delle “grida” salviniane (e non) dei ricorrenti decreti sicurezza. Ieri, il cronista di un web-magazine locale ricordava che il Samara challenge, ben oltre l’innocua goliardata, può persino integrare gli illeciti (penali e non) di procurato allarme, molestie, violenza privata, blocco del traffico stradale e dei mezzi pubblici, divieto di frequentare luoghi pubblici o aperti al pubblico con il volto coperto. Una carnevalata che mette alle corde le funzioni del sistema punitivo evocandone le dimensioni più schiettamente simboliche, quasi – è proprio il caso di dire – come un rito esorcistico per reprimere e così rimuovere l’irritazione suscitata dall’affioramento di una incoffessabile vena di fragilità.
Mi torna alla mente la riflessione di Michele Palumbo: il gioco è fuori-legge (La Rivolta e il Ridere, 1992, p. 56).