Quella mattina non aveva voglia di far molto. Gironzolava per casa stanca spostando cose e pensieri e non metteva cuore in niente. Si sedette sulla sedia di cucina e guardò dal pertugio che la tendina con la balza lasciava libera alla vista. La campagna pure pareva in calma piatta, niente pioggia niente vento, solo un buon freddo che copriva tutto. Il suo cespuglio del viale era spoglio.

Sentì dei passi veloci e noti e andò alla porta. Era Andrea il bimbo della vicina che aveva perso la corriera per la scuola e voleva star con lei. Libro di scienze, ciuffo e sorriso sdentato. Lentamente svuotò il tavolo e prese farina e olio. Cominciò ad impastare. Andrea gli leggeva accanto del sistema solare. Sulla mensola il fiasco di vino bianco della cena e ancora brace nel camino. Riscaldò il vino e lo fece bere all’impasto, più ne versava e più la sfera tra le sue mani cresceva calda e profumata. Stese la sfoglia sottile. I pianeti sono otto, tutti ruotano e nessuno si tocca. Come le persone che incontrava sul viale per la chiesa. Cominciò a tagliare strisce strette come mulattiere con la rotellina ad onde che era un giocattolo di sua figlia quand’era bimba ed un Natale aveva voluto i pentolini di rame.  Un crampo alle dita pizzicò la pasta e creò dei piccoli vuoti. Oltre a girare su se stessi i pianeti girano intorno alla loro stella. Fece ruotare la pasta attaccandola come poteva un petalo all’altro, di nuovo attorno e un giro ancora. Pareva la prima rosa appena sbocciata.

Rosa e pianeti ed un bimbo inaspettato. Un fruscio fuori passò furtivo. Più che una volpe era un gatto che curiosava nel cumolo di foglie. Guardò il piccolo con le scarpe infangate e l’odore di edera tra i capelli: principe contadino.

Aveva riempito, in men che si dica, le mensole coi fiori di pasta e vino che parevano tanti asteroidi caduti ovunque alla rinfusa. Si sentiva decisamente meglio. Li avrebbe lasciati ad essiccare un po’. Il vento del sole diceva Andrea. Non ne aveva idea e non riusciva neanche ad immaginarselo un vento di fuoco lassù. Stava pensando invece a come riempirli i suoi fiori di pasta. Il vento del sole che è gas incandescente e tipo ribolle. Sì, li avrebbe fritti nell’olio caldo. E poi?  Era stanca di pensare a chi prende traiettorie nuove come aveva fatto suo marito. Persone che fendono l’atmosfera con scie luminose, per poi magari produrre schianti e lasciare crateri vuoti. Meglio dare anima alle cose. Meglio colmare i suoi piccoli fiori.

Poteva passarli capovolti nel vin cotto di fichi che l’albero accanto al portico era sempre generoso. Vino caldo chiaramente.  Aveva pure gelatina di mele cotogne o il barattolo di miele delle api della masseria di Nicola. Un bisbetico nato quello che pungeva come i suoi insetti ma poi le regalava nettare dolce.

Forse non è ciò che diciamo o pensiamo, ma ciò che facciamo. Le rose avrebbero bevuto buona dolce rugiada

Si sorprese finalmente contenta. Oggi le sue mani avevano partorito generose e i mobili di cucina erano in fiore. Ravvivò la brace, tirò le tendine per lasciare che la luce del sole entrasse diretta.

Natale era passato da un po’ e i semi decomposti nelle terra erano pronti a breve a rinascere.  Il sole occupa il 99,85 per cento di massa dell’intero sistema, concluse Andrea e chiuse il libro che fece volare un po’ di farina. Oh, lei ne era certa.

E sorridendo si inchinò e baciò il piccolo sul capo che ora sapeva di buono.


Articolo precedenteNon è stato un anno lineare…
Articolo successivoMimmo chi?
Vivo e lavoro in terra di Puglia dove tengo a condurre un’esistenza degna di me. Figlia di mio figlio, mi nutro di emozioni che mi vengono dalle belle persone che amo. Connessa sempre col cielo, il mare, la terra. Leggere e scrivere è nutrire l’anima. Il resto, un dolce divenire nel quale comunicare resta un privilegio che ci salverà. Tutti.