“…fa’ che ritorni fanciullo, al sapore vero delle cose, al gusto del pane e dell’acqua”.
(David Maria Turoldo)
Il poeta e sacerdote novecentesco Padre David Maria Turoldo non è contemplato purtroppo nei libri e manuali di letteratura italiana. In Turoldo, poesia e preghiera si fondono in un connubio che permette di toccare il cielo senza però dimenticare di essere terra e sulla terra, proprio come accade in questo suo verso sul “sapore vero delle cose”, sul “gusto del pane”.
Il pane – come sappiamo – è un elemento portante ed importante durante i pasti e non vi è pasto se non vi è il pane, alimento comune dato ormai oggi per scontato.
Molto attento al periodo storico nel quale è vissuto e a cogliere i segni dei tempi per interpretarli alla luce del Vangelo, Turoldo con la sua poesia dalle parole colorate che poi si fa preghiera, ci invita a recuperare il sapore del pane, un sapore così comune ma così straordinario è un’impresa difficile che richiede una continua risurrezione dei sensi, una rinascita nello spirito a una rinnovata infanzia; è la riscoperta del profumo, dell’armonia e della bellezza che si cela dietro le ceneri del tedio quotidiano a ridare al cuore della vita i suoi ritmi, rime e palpiti.
Continua Turoldo: «Signore, salvami dal colore grigio dell’uomo adulto e fa’ che tutto il popolo sia liberato dalla senilità dello spirito. Salvami dall’abitudine delle cose sacre e fammi godere il miracolo della luce e quello dell’acqua viva che sgorga dalle pietre; il miracolo delle primavere come quando, fanciullo, mi sorprendevo nei campi uguale a un calice colmo di gioia per il dialogo amoroso con le piante e i monti e gli uccelli».
Il ritorno all’infanzia visita anche i meandri del sacro e spazza via la polvere dell’abitudine per scoprire la luce delle cose, la Luce che non tramonta.
Oggi più che mai i popoli chiedono pane: pane materiale per la fame dei propri figli e pane spirituale per la serenità degli animi.
La frenesia quotidiana non ci dà la possibilità di ringraziare del pane che troviamo ogni giorno sulle nostre tavole imbandite; non ci fa portare il pane all’olfatto per sentire il suo profumo e non teniamo conto del suo gusto, appena lo portiamo alla bocca.
Riscoprire allora la preziosità, il profumo e il gusto del pane significa fare di esso non un elemento, ma un alimento da custodire.
Scriveva Paul Claudel: “Interroga la vecchia terra e vedrai che ti risponderà sempre col pane e col vino”.
Ma il pane – come anche il vino – non sono solo frutto della terra, ma anche del lavoro dell’uomo: è, infatti, l’uomo che coltiva la terra, aspetta i suoi frutti, fa convenire in uno acqua, farina, lievito.
Concludo sempre con Turoldo che ci ha accompagnati idealmente in questa riflessione e che non hanno bisogno di commento ma di solo meditazione per la vita:
“Ora invece la terra si fa sempre più orrenda e inospitale: il tempo è malato i fanciulli non giocano più le ragazze non hanno più occhi che splendono a sera. E anche gli amori non si cantano più, e le speranze non hanno più voce. I morti doppiamente morti al freddo di queste liturgie; e ognuno torna alla sua casa sempre più solo: non ha più gioia la gente a credere.
[…] Tempo è di tornare poveri per ritrovare il sapore del pane per reggere alla luce del sole per varcare sereni la notte e cantare la sete della cerva. E la gente, l’umile gente abbia ancora chi l’ascolta, e le preghiere trovino udienza. E non chiedere nulla, se non di cantare”.