L’etica non è soltanto un insieme di regole, norme e precetti, ma anche sentimenti ed emozioni forti che incidono sul proprio essere e sul proprio vivere! Tra questi sentimenti spicca l’indignazione quale reazione che si prova di fronte a situazioni e comportamenti in cui è violata la dignità umana. Qui emerge la principale preoccupazione di Bergoglio nella sua enciclica francescana a favore di una vita dignitosa e uno sviluppo sostenibile per tutti attraverso un’ecologia della reciprocità e della comunione fraterna.

Quello che papa Francesco pone sotto gli occhi del mondo è “il grido della terra” quale cassa di risonanza del “grido dei poveri” (n. 49), perché la loro vita non vada perduta; in proposito il monito diventa pesante e riguarda tutti: “senza un rimedio, senza un cambiamento, senza un’assunzione di responsabilità universale la vita di tutti sarà perduta”.

Nei nostri giorni l’apocalittica diventa realtà, perché bussa alle nostre porte attraverso esodi biblici di popolazioni provenienti da desertificazioni causate dal vecchio colonialismo e dalle nuove multinazionali. Questi migranti, in quanto vittime, non di persecuzioni e guerre, ma di una miseria aggravata dal degrado ambientale, non sono riconosciuti e accolti come rifugiati. Gente sbattuta sugli scogli di Ventimiglia o al di là di muri che il mondo europeo si affretta ad alzare, come in Ungheria, richieste di blocchi e ventilate revisioni della convenzione di Schengen da parte di alcuni stati sono la riprova della violazione dell’appello “Fammi vivere”.

Il grido di papa Francesco diventa un atto di accusa, senza timori riverenziali, quando, dietro al “debito ecologico” del nord del mondo, introduce il tema dello sfruttamento delle risorse dei paesi colonizzati; qui dalle loro miniere d’oro e di rame sono state prelevate ricchezze preziose, lasciando loro in cambio l’inquinamento da mercurio e da diossido di zolfo serviti per l’estrazione (n. 51); quest’avida sete di guadagno ha portato il processo produttivo a non preoccuparsi di come riutilizzare rifiuti e scorie (n. 22).

Il dramma si acutizza al pensiero del debito estero dei Paesi poveri che non viene condonato, anzi si è tra-sformato in uno strumento di controllo in mano ai Paesi ricchi che continuano a depredare e a tenere sotto scacco i paesi impoveriti (n. 52). Tutto questo è facilitato dalla “globalizzazione dell’indifferenza” che anestetizza le coscienze e svuota di significato il termine “responsabilità” (n. 25): la globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto.

“Di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi” (n.193). Ma c’è una salvezza comunitaria ancora possibile: partire dall’inclusione dei deboli quale preziosa risorsa di “ecologia integrale”. Per i deboli e i poveri, la solitudine è una povertà in più.

L’appello accorato di papa Francesco al mondo affinché cambi il proprio stile di vita (nn. 202, 206), a nostro parere, ha il suo passaggio decisivo nell’abbattimento della corruzione; questa svilisce il patto di fiducia che è alla base delle relazioni sociali; mentre proprio la valorizzazione dei rapporti porta a prenderci cura, insieme e al più presto, della casa comune.

La mistica (n 246), quale proposta educativa, costituisce l’ouverture ma anche il grande finale dell’enciclica di papa Francesco, laddove il linguaggio altamente poetico della fraternità e della bellezza nelle nostre relazioni con il mondo raggiunge il suo culmine.