“E senti allora,
se pure ti ripetono che puoi fermarti
a mezza via o in alto mare,
che non c’è sosta per noi,
ma strada, ancora strada,
e che il cammino è ancora da ricominciare”.
Probabilmente è questo il più grande regalo che Eugenio Montale ha lasciato all’intero genere umano, un dizionario dei propri limiti, l’enciclopedico sapere verso cui tutti siamo diretti, sbarazzandoci delle irremovibili certezze di quando nasciamo per imboccare una via poco battuta, il sentiero che ci porta al di là dello scibile, da nord a sud, da occidente a oriente.
Proprio lì, tra i didascalici origami del Sol Levante, incrociamo Haruki Murakami. Osannato e venerato al pari di una divinità, ne “L’arte di correre”, il giapponese offre una dettagliata descrizione di sé, come di un maratoneta dagli infaticabili traguardi e dall’indefessa caparbietà, un uomo che da autodidatta impara le pungenti lezioni della vita, insegnando agli altri esseri umani le nozioni di disciplina e sacrificio. Non può essere un caso che la sua metodologia e la sua filosofia abbiano influenzato le dinamiche politiche di Matteo Renzi, un personaggio lontano dai folli clamori di Erasmo da Rotterdam e vicino a questa rincorsa lastricata di sudore e lavoro.
Figura antitetica, per certi versi, a quella dello scrittore classico è senza dubbio Jack Kerouac. Amava definire se stesso ‘’poeta jazz’’, a suo dire ciò che lo differenziava realmente da Proust era la trasposizione dei ricordi, riportati in maniera più lineare e concisa del francese. “On the road” ha rappresentato la scatola nera del dopoguerra, un eccitante diario di viaggio dai risvolti frenetici, un assertivo testamento con cui Kerouac sembrava essere alla continua ricerca di un luogo che gli desse stabilità interiore e riempisse quella deprimente sensazione di vuoto. Zaino in spalla, lo statunitense si è spinto lontanissimo, anelando l’infinito confine dell’altrove.
Percorrendo la strada e affrontando il viaggio, Kerouac come Pascal ha allontanato l’abitudine di restare fermi, immobili, aspettando l’inevitabile sopraggiungere dell’infelicità. I suoi scritti scossero la società americana nelle sue certezze e ispirarono direttamente i movimenti pacifisti, l’antimilitarismo contro la guerra del Vietnam e quelli libertari dell’estate sessantottina.
A conferma di come la categoria dei parolieri sia nata per stupire non soltanto con versi o endecasillabi, Kerouac ha perennemente respinto la divisione in classi sociali, considerando inaccettabile la prostrazione davanti a chi è politicamente più in alto di te.
Turbinio incessante che sfocia nel più catartico restyling spirituale, questo è il Vangelo di una mente progressista, recitato giorno dopo giorno, da chi, a torto o ragione, si considera un oberato pensatore errante.