La natura delle cose va riconosciuta prima e rispettata dopo

Bene, sono un’anfora e sto al primo ballatoio sulla scala da almeno settant’anni, altrettanti certo ne ho ma ricordo poco della mia infanzia. La vita vera è cominciata da quando mi hanno messa in quel punto preciso.

Abitavano al secondo ballatoio una giovane donna e il suo sposo. Sarà stata la mancanza di bimbi, i due parevano sempre in amore e si usavano gentilezze e si guardavano con sorrisi tanto che ridevano prima gli occhi. Una domenica lo sposo andò a fare un lavoro veloce, disse mentre scendeva di corsa e mi sfiorava. Aggiunse che lei si preparasse pure perché al ritorno sarebbero andati a messa in cattedrale come i gran signori. E rideva mentre scendeva e lei lo sgridava ma sempre in tono di coccola: “Sei troppo buono, che favore e favore, la domenica è sacra, e mettiti il cappello”. Alla domenica sacra io ci penso ancora perché poi successe una cosa assurda.

Arrivarono improvvisi diversi uomini e con facce che parevano maschere riempirono la casa e dicevano alla donna di stare calma che non era niente. Infatti era tutto perché poi ne arrivarono altri tre con in centro lo sposo. Egli era seduto su una sedia e come un Papa gli uomini lo portarono su. Aveva il cappello calcato bene in testa che gli copriva il volto. Non lo metteva mai in quel modo il cappello, era un uomo elegante come pure la sua sposa.  Lei urlava e si dimenava e loro cercavano di tenerla finché il capello  cadde e la sposa pure. Caddero entrambi nello stesso istante e poi cadde il silenzio. Si rialzò solo il dolore.

Adesso la donna vestiva di nero e non rideva più, era venuta a star con lei la sua mamma molto vecchia che vestiva in modo mai visto. Lunghe gonne spesse come tende e grembiuli rosso porpora. La madre non usciva mai e stava sempre seduta coi piedi poggiati ad un braciere quasi spento che ogni tanto la cenere la smuoveva con le dita. Dalla porta sempre socchiusa ci guardavamo dolcemente per ore.

Un giorno venne una signora altezzosa e non sapendo forse che dire si intrattenne a parlare di me, che anfora molto bella che ero e altri meriti che non so di avere. La sposa vestita di nero le disse che mi portasse pure con sé. Così, senza pensarci un attimo, e a poco servirono le occhiate supplichevoli della vecchia madre. So solo e per mia fortuna che neanche un mese la rividi nella nuova casa che mi rivoleva con sé, diceva che la madre ora non parlava più, e davvero si scusava per la figuraccia. Che meraviglia, gongolai felice perché a qualcuno ero mancata,  la sposa finalmente aveva cominciato a considerare sua madre e poi, per poca cosa che sono,  a considerare me.

Sempre bisogna distinguere tra cosa e cosa, tra persona e cosa. Bisogna guardarle bene in faccia le anfore.

Adesso che dovrei godermi la vecchiaia, ho una strana ragazza che vive nelle stanze della sposa e ogni Natale mi mette un cespuglio di bacche rosse e spinose in testa. Una signora anfora vegliarda agghindata da pagliaccia. Se la smettesse di conciarmi così, le direi grazie.

È che la natura delle cose va riconosciuta prima e rispettata dopo, che magari le anfore non sono molto intelligenti ma hanno cuore e pancia capienti e stanno lì ferme a fare bene ciò per cui son nate.

Se nessuno ci fa danni irreparabili, se ci rispettano, alla fine essere anfora mi piace.

Col tempo noi acquistiamo valore.


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