La perfezione della tecnologia della finzione scenica fa in modo che i personaggi, buoni e cattivi che siano, pur nella finzione, siano veri

Ogni volta che mi raggiunge la ferale notizia alla radio o in TV o la leggo sulla “mia” Gazzetta del Mezzogiorno, provo sempre lo stesso dolore, lo stesso disagio, la stessa meraviglia. Così come provo gli stessi sentimenti, quando leggo le solerti statistiche, distribuite per regioni, per categorie di cittadini, per etnie. Eppoi lo spiegamento di informazioni sulla modalità di esecuzione del delitto, sull’utilizzo delle armi da fuoco o da taglio, sul numero dei fendenti, sui traumi contusivi, sui segni di bruciature sul corpo, sul luogo del ritrovamento del cadavere e da chi è stato scoperto, se era vestito o svestito, ecc. ecc.

Eppure in tutta questa nobile e corretta ricerca è come se, almeno per me, mancasse qualcosa, qualcosa che continuo ogni volta a cercare ma che non riesco a trovare. La cerco nella cronaca, nei reportage dei cronisti, nelle interviste agli esperti… niente, per me manca solo una grande ed unica “cosa” ammesso che ce ne sia, perché?

Se potessimo avere una risposta chiara e scientificamente provata e condivisa del perché, forse, dico forse saremmo in grado di cogliere nel potenziale assassino i primi segni della sua volontà di uccidere.

In questi ultimi giorni, il delitto della Sicilia, mi ha particolarmente colpito, un adolescente maschio uccide una adolescente donna. Due ragazzi che avevano trascorso la serata insieme ad una festicciola con coetanei, una festa tra amici, e poi quale comportamento, quale espressione, quale destabilizzazione può scatenare l’omicidio? Uccidere ed infierire sul cadavere e buttare il corpo in un fossato e dare fuoco …ma come si può arrivare a tanto? Possibile che non ci sia un attimo in cui la mente dell’assassino non realizzi che il suo atto è definitivo? Che non ci può essere un passo indietro, che la morte non accetta appelli? Che con la morte si perde tutto, dico tutto, anche quell’ unica possibilità di resipiscenza.

Mi sono fatto una mia del tutto personale idea del perché. Perché i carnefici, vittime della perdita di auto controllo, in un angolo remoto e oscuro del cervello nascondono il pensiero che non sia definitivo l’atto. Che non sia per sempre. Manca loro la percezione dell’irreparabile, come se potessero subito dopo riavvolgere il nastro e dire: non ho fatto niente, non è successo niente. Siamo di fronte ad una miseria culturale ed affettiva, che non solo non prevede il dolore della perdita, non prevede il dolore che si infligge alla vittima ed ai familiari, ma che non conosce né percepisce la sacralità e l’inviolabilità della vita umana.

È sempre ed è solo il mio pensiero: noi tutti e di tutte le età siamo ogni giorno bombardati da immagini forti, crudeli, efferate di uccisioni. La perfezione della tecnologia della finzione scenica fa in modo che i personaggi, buoni e cattivi che siano, pur nella finzione, siano veri. E noi, se non fossimo sempre attenti e presenti a noi stessi, saremmo convinti che quello che vediamo in TV o al cinema è vero. Certo questo da solo non giustifica il perché, ma il perché può avere spiegazioni non sempre profonde. Il nostro è un mondo in cui non esiste più l’idealità, il sacrificio, la volontà di emergere, il rispetto del bello e della comunità. Una società di soli diritti e di nessun dovere. Il diritto di ottenere tutto e subito perché è così, perché ci spetta tutto e subito. Non esiste più il ripiegamento su se stessi, un progetto a lungo termine, la forte volontà di un riscatto, frutto di impegno, dedizione, volontà di emergere, quella famosa battuta con cui si chiude in una esplosione di sentimenti contrastanti il capolavoro di Martin Scorsese, Taxi Driver: “NIENTE”, risponde Trevis alla sua amata perduta che tanto lo aveva piegato e che per il cui riscatto si era inventato il personaggio del vendicatore e redentore di prostitute.

Credo che ognuno di noi abbia avuto nella vita momenti di forti umiliazioni, di delusioni, di pugnalate, di tradimenti, eppure come abbiamo canalizzato l’orgoglio di riscatto? Nel dovere. Dovere verso se stessi: studiare, lavorare, sudare, piangere, stringere i pugni, strisciare per risollevarsi e poter dimostrare a quel qualcuno od anche a se stessi di essere un uomo.

In questi pensieri rientrano anche la vita umana ed il suo valore. Senza poi dimenticare gli esempi che da tutte le parti arrivano: “Puoi fare tutto ciò che vuoi, nessuno potrà mai sanzionarti”. E non solo non esiste la sanzione, esiste il buonismo. Il buonismo è il viatico perché tutto abbia una giustificazione. Il relativismo della nostra esistenza senza ideali.

L’ultimo esempio lo diamo in questi mesi in cui tutto il pianeta e noi insieme siamo sotto scacco di un virus. Dal primo giorno che cosa abbiamo fatto? Abbiamo chiesto, abbiamo preteso, ci siamo lamentati, abbiamo sbandierato i diritti ed abbiamo occultato i doveri, sì, lo ribadisco i doveri. Vogliamo, vogliamo, vogliamo…

Kennedy disse: cittadini americani, non chiedetevi che cosa può fare l’America per voi, ma cosa potete e dovete fare voi per l’America. Tutti noi abbiamo visto cosa hanno fatto i tedeschi dopo il bombardamento a tappeto della loro terra ed io ho avuto il privilegio di vedere cosa hanno fatto i giapponesi dopo le due bombe atomiche di Hiroscima e Nagasaki …e noi italiani cosa abbiamo fatto e cosa facciamo per l’Italia!?


Fonte(Foto Ansa)
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Antonio Marzano medico chirurgo, pediatra di famiglia in Bisceglie dal 1985. Liceo Classico a Molfetta. Laurea e specialità presso l’Università di Bari. Ex studente di pianoforte per circa 10 anni da bambino, ha riscoperto la passione per la musica classica a 50 anni e sotto la guida della docente Angela Rosa Graziani, ha ripreso gli studi musicali. Con un gruppo di amici dà vita all’Associazione Musicale Fonè che in dieci anni ha offerto oltre 15 concerti di eccellente livello, con l’obiettivo di diffondere la conoscenza per la Musica Classica, specie quella interpretata da professionisti del territorio. Lettore vorace ma non onnivoro, ha riscoperto la passione per la scrittura ed il privilegio di esprimere con lo scritto episodi di vita, di professione, di musica e di passioni in genere.