
Un potere impotente…
Su ‘La Repubblica’, in un’intervista, e sui social Emma Bonino ha sostenuto l’esigenza nonché l’auspicio che il prossimo premier nel governo italiano sia una premier, una donna.
La senatrice radicalpluseuropeista (di Radicali italiani – Più Europa) ha infatti sostenuto quanto segue: “Magari fosse incaricata una donna come premier! Il Paese cambierebbe simbolicamente e sostanzialmente”. Emma ha poi specificato che è ovvio che non basta essere donne per essere migliori.
La senatrice anche negli ultimissimi anni ha partecipato ad una serie di iniziative politico-didattiche sperimentali di sole donne italiane, aspiranti politiche di professione. Le iniziative sono state seguite da tante anime diverse, con un filo rosso di simpatie per i diritti civili e l’ecologia innovativa nelle applicazioni tecniche e di impresa.
In effetti c’è bisogno anche di simboli, nel mondo dopo Trump, e un certamente femminismo istituzionale può costituire un’occasione per emergere civilmente sulla scacchiera internazionale, soprattutto nel dialogo proattivo con i Paesi in cui le donne vengono giuridicamente e socialmente relegate a ruoli di subordinazione. Se il nazionalpopolarmente corretto che ha elevato le donne a ministre ma mai a premier ha riscaldato ormai le proprie poltroncine, il radical-correct malgrado il suo sempiterno fascino progressista non rappresenta sempre e comunque un antidoto al malessere istituzionale – ed anzitutto sociale, tra la gente fisicamente lontana dai palazzi! – di questo momento. Pur condividendo l’orologio che dice “è ora!” per una premier di governo donna nella Repubblica italiana, penserei di più a capire già chi possa essere individuato o individuata, come il più valido o la più valida, e secondo quali parametri politici nonché professionali.
La Bonino, giustamente, ha sottolineato che le italiane hanno competenze e capacità, e che non devono smettere di lottare per i propri diritti. Giustissimo, abbiamo però bisogno di meccanismi chiari e di spazi idonei in cui e da cui far emergere donne e uomini nuovi, non usciti dal nulla, ma usciti ed emergenti dalle battaglie e dalle riflessioni dal basso, messe nero su bianco e accessibili a tutte e tutti. Le mine vaganti delle militanze e degli attivismi politici hanno il diritto a dire la loro, a farsi avanti, a farsi conoscere con i dovuti stimoli ed inviti a mettersi in una piazza pubblica, aperta, eterogenea, innovativa.
Riformista o conservatrice che sia, solo da una piazza telematica – e, appena si potrà, materiale – potranno sgorgare le novità politiche in carne, cervello ed ossa. Ad organizzare i modi per rendere libera, accessibile e civica quella auspicata piazza quale spazio concreto dei meriti, senza dubbio, abbiamo già molte menti anziane.
Una volta tanto gli “esperti” del politichese e della caccia di voti si facciano avanti per organizzare gli spazi ai giovani, i quali devono sì toccare con mano la difficoltà dell’acquisire i consensi, ma non devono perdere tempo a stringere mani tanto per catturare le masse a fini elettoralisti, non devono e non possono perdere tempo con le retoriche. Il tempo è un bene individuale ed anche comune, prezioso, unico e non semplicemente raro, e occorre impiegarlo vivendo e perseguendo con tutte le energie quelle riforme radicali che servono a tutti, nel neorepubblicanesimo italiano, risolvendo le questioni ataviche e dolenti, dal fisco alla giustizia, dal lavoro precario alle discriminazioni tra professioni, dagli sprechi alla pace, dalla sicurezza effettiva alla solidarietà per tutti.
Dal nazionalpopolarmente corretto al radical-correct non è un attimo, ma quel passo non è sempre necessario per un effettivo e concreto progresso di tutte e tutti. I politici affermati potrebbero iniziare a dosare il proprio ego affiancandosi pubblicamente a nuove individualità giovani, sia donne che uomini, per esempio, per cercare di svecchiare la politica in modo naturale e senza monocratiche quote rosa o blu sbiadito, rimediali e simboliche.
Con gli strumenti della cultura demopluralista e delle dinamiche di cittadinanza queer che tutela tutti i generi, tutte le etnie e tutte le classi socioeconomiche sforzandosi di garantire ascensori sociali e opportunità, si possono ottenere risultati più femministi di quelli che si possono ottenere lanciando spunti semplicemente simbolici. Nei momenti di urgenza e di pragmaticità come l’attuale si deve soprattutto organizzare e promuovere la protezione del popolo delle donne “dal basso”: non c’è femminismo istituzionale e monocraticamente simbolico che tenga senza un femminismo realizzato nelle case, nelle aziende, negli uffici pubblici. Il resto verrebbe da sé, in ragione di effettive emersioni attraverso le stagioni di socialità politica in rivendicazione civile, dentro e fuori le istituzioni.
Dal nazionalpopolarmente corretto al radical-correct? È preferibile rimanere free, ed anzi liberalfree, e ragionare sostanzialmente con alla mano gli effettivi potenziali di innovazione che la realtà riesce a partorire, stando così le cose. Si è liberalfree se si è liberali liberi, liberi da retoriche liberali ottocentesche ma al contempo free rispetto ai reparti rigidi delle minoranze-a-tutti-i-costi, le quali per distinguersi devono pretendere nell’immediato ciò che va costruito nel mondo del meditato e del condiviso.
Dalle forze liberal, in questo momento simpatizzanti per la storia e per il presente proattivo di donne come la Bonino e non solo, i giovani e le giovani d’Italia si aspettano meritocratiche possibilità, d’esser lanciati senza essere gonfiati, d’essere inseriti e non esclusi in un dibattito che non resti mai a mezz’aria e che anzi parli al Paese intero, dalle radio alle tv, dai giornali al conferenzismo. I giovani non hanno bisogno di nemesi nei big per auspicare un domani di grande successo egoriferito attraverso le sgomitate “super pares”, tanto care sia ai conservatori che ai tradizionali progressisti. I giovani hanno bisogno di condividere, di aggiornarsi insieme, di prendere atto, di non mollare individualmente e di competere quando necessario per il bene dell’ordine democratico. I giovani e le giovani hanno bisogno di darsi una strada nel tessuto sociale che si vive quotidianamente, al di là dei consessi esclusivi ed escludenti e dei ruoli-simbolo del potere. Il potere di ciascuna e di ciascuno si conquista anzitutto al di là di telecamere e di posti di spicco.
Nessuna dimensione radicalmente innovativa nasce digiuna dalla socialità e dalla condivisione nell’eterogeneo tessuto sociale, anzitutto in questo tempo fragile in cui gli spazi cibernetici hanno raggiunto una saturazione compulsiva e si tende a voler rinascere all’aria aperta nonché negli spazi anche chiusi dello stare insieme, oltre le avversità delle necessarie resilienze. Serve un processo divergente per i diritti delle donne, un processo che partorisca movimenti liberali che accolgano i dialoghi delle diverse istanze, un processo dal quale partorirà con le opportune condivisioni il nome della premier italiana.
Un potere prigioniero di propri simboli incapaci a rappresentare la realtà effettiva che quel potere dovrebbe organizzare, diverrebbe sintetico, e quindi ineffettivo e per giunta anaffettivo: un potere impotente d’incarnarsi giorno per giorno nel sociale.
[…] -“Dal nazionalpopolarmente corretto al radical-correct? No, grazie”, pubblicato il 03.02.2021 su ‘Odysseo’. Il link ad oggi è: https://www.odysseo.it/dal-nazionalpopolarmente-corretto-al-radical-correct-no-grazie/ […]
[…] -“Dal nazionalpopolarmente corretto al radical-correct? No, grazie”, pubblicato il 03.02.2021 su ‘Odysseo’. Il link ad oggi è: https://www.odysseo.it/dal-nazionalpopolarmente-corretto-al-radical-correct-no-grazie/ […]