No, non stai per leggere un articolo nostalgico su quanto l’amore ai tempi dei nostri nonni fosse bello e facile. Nemmeno un elogio delle nuove tecnologie e del loro benefico effetto sulle relazioni a distanza. Ora se questo incipit ti ha rasserenato, siediti comodo e concedimi i prossimi tre minuti del tuo tempo, non uno di più.
A 24 anni, con una sola relazione stabile alle spalle e poche altre (più o meno trascurabili) frequentazioni nel CV, di certo non millanto saggezza in fatto di relazioni. All’ontologica domanda di Capossela sulla natura dell’amore io risponderei con uno scottiano “Passaparola!”. Eppure qualche idea in questi anni me la sono fatta.
Handle with care racchiude tutto ciò che ho capito. Siamo tutti a caccia di tessuti fighi e nuovi, inutile negarlo. La velocità con cui ci stanchiamo degli abiti che indossiamo è imbarazzante. Che la colpa sia della società, del senso di precarietà, di Tinder, di Facebook, di Whatsapp poco importa. Il punto è che niente è abbastanza. Siamo tutti bulimici di affetto, dipendenti dalle attenzioni, maniaci della conquista. E così collezioniamo tessuti da barattare con altri mercanti di stoffe, a caccia dell’affare della vita.
Il problema è che quasi sempre lo scambio ci sembra una truffa e allora, per paura di non riuscire più a liberarci della merce dozzinale ottenuta con l’inganno, si corre in piazza alla ricerca di un nuovo, più pregiato tessuto. Siamo in trappola in un baratto senza fine, rimandando in eterno il momento della scelta. Rimandando in eterno il momento del lavaggio successivo al primo utilizzo.
Rare volte ci lasciamo incuriosire dalla trama di una stoffa e decidiamo di custodirla più a lungo (e magari con più cura) in un angolino del cassetto. Restiamo allora sorpresi di come sia bello, almeno per un po’, almeno all’inizio, sentirne il profumo nelle narici, godersi la delicatezza sulla pelle, assaporarne la familiarità nei movimenti. Ma il sospetto è dietro l’angolo, pronto a sopraffarci al primo bagno di folla davanti agli occhi indiscreti di tutti gli altri mercanti: d’un tratto ciò che allo specchio nell’intimità delle 4 mura sembrava prezioso si trasforma in anonima merce di scambio.
È il paradosso della scelta di Schwartz: troppe alternative, troppi gusti tra cui scegliere, troppi canali di accesso. Il risultato si chiama ansia del compratore e ci vede tutti paralizzati di fronte a uno scaffale di cereali, incapaci di prendere una decisione. Apprendiamo dallo psicologo americano che more is less, che la mancanza di tempo manda in tilt il sistema quando le alternative da valutare sono troppe. Per farla breve, vogliamo poter scegliere, ma non troppo. Avere la parola finale, ma essere guidati nella scelta. Vogliamo tutto in 1. Vogliamo il dentifricio per denti più bianchi, meno carie, alito profumato, gengive sensibili,…in un unico, pratico tubetto! Una protezione completa contro il senso di impotenza e di insoddisfazione di fronte alla selvaggia varietà.
E allora ribalto la domanda: why less is more?
Perché superata la paura della scelta, un solo pezzo di stoffa avrà il tempo di farsi conoscere e di mostrare i preziosi dettagli che sfuggono all’occhio veloce.
Perché l’unità è il principio della numerazione, è armonia delle parti e stabilità.
Perché quando si ha poco tempo, non ha senso sprecarne tanto.
Handle with care è tutto ciò che ho capito sulle relazioni: scegli un tessuto, fallo tuo e prenditene cura. Non importa a quanti lavaggi sopravvivrà prima di passare di moda, di rovinarsi o di starci troppo stretto. La qualità vince sulla durata, il rispetto mette k.o. la paura e la complicità trionfa sull’anonimato.
Buon bucato a tutti!