«Siate realisti: chiedete l’impossibile»

(Albert Camus)

Forse un’utopia che mi respira dentro da quarantacinque anni, gli avevano scritto.

È quello che sei da sempre e non ti è mai stato concesso essere. Di colpo ti ritrovi dentro di te, per obbligo e non capisci, aveva risposto.

Era possibile che molte cose le avessero già interiorizzate, tante altre rivalutate, quelle perse ritrovate e, intanto, chissà quante perdute.

E nel frattempo… il frattempo che veniva sempre sottovalutato. In un tempo precedente a quello, era, infatti, proprio nel frattempo che accadevano le cose migliori.

Ed in quel momento? Tutto era come al solito falsato, in quell’intermezzo pubblicitario in cui facevano anche finta di crederci che erano fermi e invece, peggio di prima, vedevano il tempo mangiare il tempo, le giornate scandite solo dal colore della luce che cambiava, entrando dalla finestra, a sottolineare una soluzione di continuità che non esisteva più: lunedì come giovedì, mercoledì come sabato, venerdì come domenica.

Un giorno l’energia rendeva impossibile non sentirne la spinta, il giorno dopo erano loro ad essere spenti e non ce la facevano a guardare nemmeno a dopo due ore.

Del resto, non potendo evitare di credere a Galilei, non bastava guardare, ma occorreva guardare con occhi che volevano vedere e che credevano in quel che vedevano.

Ed era un problema, perché quello spunto di antica saggezza aveva alla base un discorso semplice e spaventoso, come tutto in quel momento: il desiderio.

Come si fa, pensava, a vivere senza poter avere desideri? E ancora, come si fa a desiderare qualsiasi cosa non sapendo affatto come sarà domani?

La vita aveva smesso di farsi dare per scontata, addirittura lei era stanca di loro che l’avevano pensata come qualcosa che tanto c’è.

Era un momento in cui, fino a data da destinarsi, anche desiderare rischiava di non aveva più spessore: sperare di poter tornare a desiderare, questo sì.

Non vedo l’ora di vederti (sapendo che poteva essere), non vedo l’ora di tuffarmi (sapendo che poteva essere), non vedo l’ora di portarti a prendere il caffè (sapendo che poteva essere), non vedo l’ora di… qualsiasi cosa (sapendo che poteva essere).

Questo gli mancava, poter pensare di desiderare e trovare un appiglio che glielo consentisse. Una cosa che ora no, non si poteva fare. Doveva dimenticarsi l’idea che ci fosse un altro mondo da trovare, pur sempre in quel mondo?

Così andò a sedersi al tavolino in penombra, prese il taccuino dei momenti indecifrabili e cercò disperatamente la sua Penna; non un’altra penna, cercava la sua. La ritrovò e, come fosse una preghiera, riscrisse Albert Camus

Mia cara,

nel bel mezzo dell’odio

ho scoperto che vi era in me

un invincibile amore.

Nel bel mezzo delle lacrime

ho scoperto che vi era in me

un invincibile sorriso.

Nel bel mezzo del caos

ho scoperto che vi era in me

un’invincibile tranquillità.

Ho compreso, infine,

che nel bel mezzo dell’inverno,

ho scoperto che vi era in me

un’invincibile estate.

E che ciò mi rende felice.

Perché afferma che non importa

quanto duramente il mondo

vada contro di me,

in me c’è qualcosa di più forte,

qualcosa di migliore

che mi spinge subito indietro.

Per momenti eccezionali, che derogano alla norma, servivano comportamenti eccezionali. Andò a dormire. E dormì molto.

Destatosi dal sonno, gli sembrò di essersi destato anche da quello stato a cui non aveva dato un nome proprio e non aveva potuto personificare; sorseggiava il suo caffè affacciato alla finestra e da lì gli sembrò di vedere la mano di Van Gogh dipingere la natura che gli si stagliava davanti agli occhi. Inevitabilmente, istintivamente, ostinatamente allora pensò: adesso abbiamo un colore stupendo, intensissimo, senza vento, che fa proprio al caso mio. Una luce che, in mancanza di meglio, non posso che chiamare gialla, gialla zolfo pallido, limone oro pallido. Com’è bello il giallo.

Se quello di Vincent era il sentimento del giallo, ciò che sorse in lui era il sentimento del bello.

Da lì, guardò con amore la sua Penna rimasta sul taccuino ancora aperto e le parlò: nessun’altra penna potrà fare di me ciò che tu puoi. Trasforma con me l’invincibile ostacolo in nuova opportunità: salvandoti, salvami. E salvandomi, salvaci.

Salviamoci.

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FontePhotocredits: Mariantonietta Griseta
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.