Chi ha preso decisioni sbagliate in Italia riguardo al contagio?

In alcune regioni, la massiva diffusione del contagio ha espresso una domanda di cure rianimatorie, intensive e sub intensive, che il sistema non è stato in grado di soddisfare.

Non tutti i pazienti, cui occorreva l’ausilio salvavita dell’ossigenazione assistita oppure della ventilazione forzata, hanno potuto riceverla. È presumibile (anzi è pressoché certo) che, in un certo numero di casi (quanti, al momento, non è dato di sapere), il triage non abbia definito (come di consueto) la gerarchia temporale degli interventi sanitari ma l’alternativa tra la vita e la morte dei contagiati dal virus con un quadro di grave insufficienza respiratoria e, non solo nella prospettiva già drammatica di intubare “Tizio” piuttosto che “Caio”, ma in quella, persino tragica, di dimettere “Sempronio” per curare “Mevio”. Situazioni “ruvide”, quasi “scarnificanti”, abrasive delle discussioni morali e giuridiche a volte “accademiche” (in senso deteriore) a volte (più spesso) condizionate se non distorte da precomprensioni ideologiche, visioni del mondo e (volgari) opportunismi politici ignobilmente strumentalizzate in alcuni messaggi pubblicitari per sollecitare consulenze (ovviamente) gratuite in favore di pazienti contagiati da “infezioni ospedaliere”.

Iniziative vergognose che hanno innescato le reazioni sia di alcuni Ordini forensi che del FNOMCeO offrendo lo spunto per rilanciare il dibattito sulla “depenalizzazione” della “colpa medica”. Petizioni, editoriali e svariate ipotesi di riforma per scongiurare un’epidemia secondaria di procedimenti penali a carico dei sanitari. Uno scenario sicuramente temibile e non solo per i professionisti che potrebbero essere coinvolti(/travolti) dalle sequele giudiziarie del contagio.

Non tutte le proposte, in realtà, sono condivisibili. Le possibili contromisure saranno valide ed efficaci solo se terranno ben presente tre (tra le altre) coordinate empiriche del problema.

a.) Occorre comprendere che il rischio attuale e concreto da scongiurare non è quello di improbabili processi o ancora più remote condanne. Ciò che bisogna evitare ai medici è, per quanto possibile, la “sofferenza” di indagini prolisse e non mirate.

b.) In questa prospettiva – si insiste – non solo la riforma della colpa professionale forse non è necessaria e di sicuro non è sufficiente. Oltre agli interventi sul diritto penale sostanziale occorre intervenire sul diritto processuale penale e oltre gli interventi sul sistema punitivo occorre l’apporto di rimedi deflattivi, anche non immediatamente correlati alla dimensione sanzionatoria.

c.) Alla luce delle provvisorie e ancora frammentarie conoscenze attuali non sembra che “sia andato tutto bene”. Tutt’altro, «qualcosa è andato storto»[1]. Non si tratta certo di ventilare una resa dei conti tra articolazioni del S.S.N. nei corridoi delle Procure o, peggio, mega-inchiesta per concorso omissivo in epidemia, ma non per questo sarebbe giustificabile che si rinunciasse a priori (con norme ad hoc…) ad accertare in relazione a puntuali, specifiche e consistenti congetture accusatorie, circoscritte ipotesi di responsabilità, come (ad esempio) nel caso di alcuni ospedali divenuti focolai dell’epidemia, oppure, di talune RSA.

Al di là di queste ipotesi, è auspicabile che in sedi diverse da quelle giudiziarie sia condotta una profonda riflessione su quello che è accaduto e ancora accade, senza imputati o gogne ma solo testimoni, solo alla ricerca della verità, senza la caccia alle colpe o alle responsabilità. Per il futuro dell’Italia è più importante isolare gli errori che individuare chi ha preso decisioni sbagliate[2]. In una prospettiva ancora più ampia si dovrebbe seriamente ragionare sull’adozione di un provvedimento generale (ma oculato) di “clemenza”, senza il quale la prognosi della giustizia penale del dopo l’epidemia rischia di essere infausta.

Le regioni dovrebbero indennizzare le “vittime” delle scelte tragiche (di secondo grado) compiute da operatori dell’emergenza e rianimatori. Se lo stato di necessità esclude la responsabilità penale dei sanitari, resta da considerare che le scelte (di primo grado)[3], relative all’allocazione delle risorse, sebbene estranee alle qualificazioni della responsabilità giuridica, hanno costituito la premessa per la quale i SS.SS.RR. non sono stati in grado di assicurare le cure a tutti i pazienti in violazione del dovere di garantire la vita sancito dalla CEDU (art. 2), senza eccezioni nemmeno nello stato di urgenza (art. 15).

È plausibile ritenere che queste misure[4] possano esprimere un effetto deflattivo soprattutto se si prevedesse di subordinare l’erogazione del “contributo” alla rinuncia ad agire anche in sede penale per i reati procedibili a querela, tra i quali potrebbe essere compreso anche l’omicidio colposo con specifico e (rigorosamente) esclusivo riferimento ai quadri dell’emergenza rianimatoria appena illustrati. Il rischio residuo di un ingente numero di procedimenti potrebbe essere affrontato con un’accorta gestione dei criteri di priorità e con l’adozione di protocolli di indagine ben mirati. Anche senza una disciplina specifica (da prendere comunque in considerazione), i “capi” degli uffici potrebbero convenire che le denunce(/querele) relative ad accuse di omicidio e lesioni colpose connesse con il contagio “Covid19” siano trattate con assoluta priorità affidando i fascicoli ad un pool di pubblici ministeri. Ai consulenti si potrebbe chiedere di selezionare nei tempi più rapidi (e comunque rigorosamente prestabiliti) i casi nei quali risulti palesemente assente ogni profilo di responsabilità e per i quali ovviamente i sostituti titolari potrebbero procedere immediatamente alla richiesta di archiviazione.

[1] Così G.Gori (sindaco di Bergamo), 5 aprile 2020, fonte AdnKronos (www.adnkronos.com).

[2] Ben venga ovviamente se in un moto spontaneo e personale di resipiscenza alcuni decisori pubblici, palesemente incapaci, facciano un passo indietro.

[3] Cfr. per questa soluzione terminologica G.Calabresi – P.Bobbit, Tragic choice, trad. it., II ed., Giuffrè, Milano, 2006, p. 11.

[4] O le altre più o meno analoghe che gli studiosi di branche diverse dell’ordinamento potrebbero delineare anche con maggiore appropriatezza.