Nulla più straordinario dell’uomo
“Ho letto nei Memoriali degli Arabi … che una volta domandarono al saraceno Abdallah che cosa gli paresse più degno di ammirazione in questa scena teatrale del mondo. Egli rispose che nulla gli sembrava più straordinario dell’uomo”.
Inizia così l’orazione, che in seguito assunse il titolo “De hominis dignitate”[1] (La dignità dell’uomo), scritta da Pico quando aveva 23 anni come introduzione ad un convegno nel quale avrebbe presentato il suo programma filosofico a tutti i dotti e i sapienti del mondo. Il convegno non ebbe mai luogo, ma Pico elaborò 900 Conclusioni in cui sintetizzava la verità unitaria che a suo modo di vedere sta al fondo di tutte le religioni e di tutte le filosofie.
Siamo di fronte alla fondazione dell’interculturalità, del progetto, tutt’oggi aperto, seppur in grande crisi, del dialogo convergente fra le diverse culture e religioni del mondo.
Pico pone prima di tutto la domanda fondamentale: chi è l’uomo?
“Dio aveva già edificato … la casa del mondo che noi ora vediamo… Tuttavia desiderava che qualcuno cogliesse il senso di un’impresa così vasta, ne amasse la bellezza, ne ammirasse l’imponenza… Egli coltivò il pensiero di generare l’uomo… ma non c’era un modello su cui basarsi per plasmare la nuova stirpe. … L’ottimo Artefice prese questa decisione. Colui al quale nulla poteva esser concesso di proprio, avrebbe avuto parte in tutto ciò che era stato assegnato agli altri singolarmente. Dunque accolse nella creazione l’uomo, l’opera dall’immagine indefinita… lo pose al centro del mondo e gli si rivolse con queste parole: ”Adamo, non ti ho assegnato una sede fissa, né alcun dono particolare, proprio perché tu ottenga e possieda secondo il tuo desiderio e la tua volontà qualunque sede, aspetto e dono tu vorrai scegliere. Potrai abbassarti al livello delle creature inferiori, che sono prive di ragione, ma potrai anche andare incontro a una rinascita fra le entità superiori, che sono divine”.
L’essere umano ha dunque, secondo Pico, una volontà libera ma non ha un’identità stabile: al suo centro c’è un vuoto, un’assenza, una notte.
Ci sono due strade per uscire da quella notte. La prima è la via morale, che permette di eliminare ”la caligine che offusca la vista”. L’altra è la contemplazione, propria dell’uomo che “non si sentirà appagato da alcuna delle sorti delle creature e si ritirerà nel centro della propria unità”.
“È nostro dovere principale allontanare da noi ogni possibile accusa di esserci abbassati, dalla posizione privilegiata in cui partivamo e senza neanche accorgercene, al rango di esseri privi di ragione e delle ottuse bestie da soma”.
Pico della Mirandola pose due questioni fondamentali nel dialogo fra le culture: la prima è che la giusta condotta morale è trasversale, comune, universale. Nel VI secolo a.C. Shakyamuni elaborò il cosiddetto “nobile ottuplice sentiero”,[2] cercando una norma interculturale e interreligiosa , universalmente valida, non contraddittoria. Il De officiis di Cicerone, la Pace perpetua di Kant o la Dichiarazione dei diritti dell’uomo si pongono sullo stesso terreno: cercare il minimo comune denominatore nei rapporti fra l’individuo e la società e nei rapporti fra gli Stati.
La seconda questione posta da Pico della Mirandola è la gerarchia fra norma morale e religione: la seconda deve essere subordinata alla prima. Questo monito è vieppiù valido oggi che vediamo capi religiosi al vertice dei consigli di guerra e di iniziative criminali e sanguinarie contrassegnate da una violenza senza precedenti.
[1] Giovanni Pico della Mirandola. La dignità dell’uomo, a cura di Raphael Ebgi, Einaudi, To, 2021.
[2] Retta Comprensione, Retta Aspirazione, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Sostentamento, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza e Retta Concentrazione.