Scienziato-filosofo che ancora può dirci tanto
Non sempre nella non lineare storia delle idee gli apporti di pensiero dati da una figura appaiono fondamentali e, anche se a volte sono stati colti come tali, ci vuole del tempo per averne una più adeguata collocazione storico-concettuale negli ambiti disciplinari in cui è venuta ad operare; a maggior ragione se poi ha pure contribuito a far sviluppare saperi in via di costituzione come la filosofia della scienza e la storia della scienza venute a maturazione solo nel pieno del XX secolo, prima in modo separato e poi in modo più strettamente collegate pur avendo lo stesso oggetto di indagine in comune. Si è distinto in tal senso il fisico teorico Pierre Duhem (1861-1916) fra Ottocento e Novecento, che pose le basi della termodinamica chimica con degli studi pioneristici sugli stessi processi irreversibili, merito riconosciuto a fine ‘900 dal Premio Nobel per la Chimica Ilya Prigogine; e per aver scritto nel 1906 una delle opere epistemologiche più al centro delle discussioni successive come La théorie physique: son objet et sa structure, nello stesso tempo è stato un’autentica figura di ‘scienziato-filosofo’, per usare la traduzione del termine francese savant, espressione già avanzata nei primi anni del secolo scorso da Harold Höffding per caratterizzare i percorsi di pensiero messi in atto da poche altre come Ernst Mach, Gottlob Frege, Henri Poincaré, Federigo Enriques, Bertrand Russell e Albert Einstein.
Queste figure non solo hanno dato rilevanti contributi ai rispettivi settori disciplinari come è più noto, ma hanno accompagnato la loro attività di scienziati da una costante riflessione sulla natura della scienza come impresa cognitiva per comprendere criticamente i cambiamenti strutturali da essi stessi apportati; ed in tal modo, per chiarire il senso teoretico del passaggio ai nuovi modelli di razionalità scientifica, hanno tracciato nelle loro altrettanto fondamentali opere di natura più filosofica la strada in particolar modo alla filosofia della scienza. Alcuni nodi concettuali di tale disciplina, chiamata all’epoca critique des sciences, sono stati avanzati proprio in La théorie physique, opera che oltre a contribuire a fare della filosofia della fisica una organica disciplina, ha messo in campo la tesi olista che va sotto il nome di ‘Tesi Duhem-Quine’ ed oggetto di continue riflessioni nel corso del ‘900 e ancora oggi al centro di costante interesse in altri ambiti di indagine dalla biologia alle scienze sociali; non a caso, in questi ultimi anni, è apparsa una significativa collana ‘Duhemiana’, fondata e diretta da Mirella Fortino, già autrice di diversi lavori su tale figura, con la collaborazione di altri studiosi italiani e stranieri con lo scopo di far vedere come altre tematiche messe in campo da Duhem e dalla cosiddetta epistemologia storica francese siano dei punti riferimento per molti dei dibattiti attuali come il tema della theory ladenness, del realismo e dell’antirealismo, del simbolismo e dello strumentalismo, dei rapporti tra storia della scienza ed epistemologia.
Nello stesso tempo, in più Duhem, insieme a Mach e all’italiano Enriques, si è impegnato sul terreno della storia della scienza non vista come un semplice addentellato dei suoi lavori scientifici, ma come un modo strategico per dar conto con altri strumenti delle diverse ‘ragioni della scienza’ tale da poter dire, con parole prese dal matematico Enriques, che il suo percorso va ‘dalla scienza alla filosofia della scienza e da questa alla storia guadagnata attraverso la scienza’ ed ‘in servigio della scienza’, da rendere a volte difficile demarcare in modo netto i confini tra attività scientifica vera e propria, analisi epistemologica e lavoro storiografico. Per capire meglio questo punto saliente di tale percorso, comune con le altre due figure, e vero e proprio dono razionale, oggi più che mai fecondo e strategico se visto anche alla luce delle metodologie messe in atto dal pensiero complesso, ci vengono in aiuto in tal senso diversi recenti lavori che sottolineano lo spessore concettuale di quella che è stata chiamata significativamente ‘sofisticata epistemologia’, messa in atto dal savant Duhem, da parte di Stefano Bordoni che non a caso si distinto con diversi lavori su tale particolare figura come soprattutto in When Historiography Met Epistemology del 2017 e prima in Taming complexity: Duhem’s third pathway to thermodynamics del 2012.
Se ne sottolinea ancora maggiormente l’attualità su più fronti nella prefazione alla raccolta di sette articoli, sia in originale che in traduzione italiana, di Duhem apparsi prima de La théorie physique sulla ‘Revue des Questions scientifiques’, rivista belga ancora oggi esistente, dal titolo Realtà e rappresentazione. Alle origini della Théorie physique. Scritti 1892-1896, a cura di Mirella Fortino e Jean-François Stoffel (Roma, Aracne Ed. 2022, collana ‘Duhemiana’) con uno scritto introduttivo di Mirella Fortino dal titolo ‘Quale filosofia della mente per una nuova razionalità scientifica negli scritti di Duhem?’; ed è da tenere presente che la stessa Mirella Fortino ha curato altri importanti lavori duhemiani come Salvare le apparenze. Saggio sulla nozione di teoria fisica da Platone a Galileo, insieme ad altri scritti su Pierre Duhem. Verità, ragione e metodo (1916-2016) e L’autonomia della scienza in un fisico credente. Due scritti di Pierre Duhem.
Tali lavori aiutano a capire meglio la postura storico-epistemologica di tale figura che, insieme ad Henri Poincaré, ha avuto un ruolo non secondario nella nascita della filosofia della scienza, e vengono ad inserirsi nell’ambito della stessa storia dell’epistemologia, sapere sviluppatosi a fine secolo scorso per dar conto delle diverse tradizioni di ricerca; tale ‘nuovo’ filone di indagine , come lo ha chiamato nel 2004 Don Howard che a sua volta parla di ‘età dell’oro dei fisici-filosofi’ tra ‘800 e ‘900, e da più parti portato avanti mira ad una più critica ed oggettiva ricostruzione delle complesse e non omogenee vicende di tale disciplina sorta per fare emergere le più anime e ‘ragioni della scienza’. Non è dunque un caso che si è pervenuti a parlare di ‘origini francesi’ di tale disciplina, così come ha fatto Anastasios Brenner nel lavoro del 2003, Les origines françaises de la philosophie des sciences, ed in lavori successivi su un’altra figura meno nota come il matematico Gaston Milhaud che ebbe nel 1909 la prima cattedra alla Sorbona in tale ambito di studi, chiamata ‘Histoire de la philosophie dans ses rapports avec les sciences’.
E per entrare nello spirito e nella genesi dell’impresa duhemiana si rivela altresì molto utile l’altro e complementare lavoro di Jean-François Stoffel, Introduction à la lecture des célèbres articles duhemiens de la Revue des Questions Scientifiques (1892-1896), con prefazione di Fabio Rodrigo Leite (Roma, Aracne Ed. 2022, collana ‘Duhemiana’); tale lavoro, basato anche sulla corrispondenza inedita e sulla consultazione di diversi archivi non esplorati, non si rivela essere solo una semplice guida alla miglior comprensione dei saggi inseriti in Realtà e rappresentazione, ma continua nello sforzo di interrogare nelle diverse pieghe l’opera dello ‘scienziato-filosofo’ francese sulla scia di studi precedenti come Pierre Duhem et ses doctorands del 1996 e Le phénoménalisme problématique de Pierre Duhem del 2002. Come mette in evidenza, infatti, Fabio Rodrigo nella prefazione, Stoffel segue criticamente l’evoluzione del percorso duhemiano, le inevitabili modifiche e soprattutto ‘l’unità’ di fondo che ne sorregge l’intero impianto imperniato sullo stretto rapporto tra scienza, filosofia e storia; esso è già intravisto in tali saggi dove si fa ricorso massiccio a questioni epistemologiche e alla storia della fisica, pur in presenza di grande diversità di problematiche affrontate comuni ai ‘fisici-filosofici’ come ad esempio, il valore delle teorie fisiche, la questione delle ipotesi atomistiche, i rapporti tra fisica e metafisica, con dei punti di vista che scatenarono all’epoca diverse polemiche con conseguenti numerosi dibattiti.
L’intento principale di Stoffel, nell’evidenziare “le circostanze in cui furono redatti” tali “celebri saggi” e le modalità della loro “accoglienza” con le “forti critiche”, è quello di fare emergere la questione di fondo, quella dei “rapporti tra fisica e metafisica” e di “ridefinirla in modo radicale”; e nello stesso tempo la sua lettura offre “un’altra percezione di Duhem” un po’ diverso da quello più canonico rispetto a quello de La théorie physique per la sua capacità sia di tenere conto delle critiche e sia della sua “postura di equilibrista”; questo si rivela strategico per dimostrare come Duhem ha tenuto sempre a sottolineare l’autonomia delle sue ricerche e della scienza rispetto al fatto di essere un savant cattolico senza cadere in posizioni apologetiche con l’avere molte critiche proprio da tale ambiente, E quelle che Mirella Fortino chiama ‘mosse speculative molto raffinate’ sulla natura della fisica, come la critica al cosiddetto ‘realismo’ di Galileo, e le stesse scelte storiografiche, culminate negli otto volumi su dieci previsti de Le systhème du monde opera di una tale erudizione da ‘confondere l’esprit’ come disse poi Alexandre Koyré che pure non ne condivideva l’impianto di fondo, come anche quella di sostenere nei suoi diversi lavori su Leonardo e la scienza moderna che molte idee erano già presenti nella cultura medievale, vengono viste come il risultato del suo modo di praticare l’attività di fisico, dell’essere un vero e proprio “fisico-matematico”.
Nello stesso tempo Stoffel fornisce le “numerose ragioni per leggere ancora Duhem” e, oltre al suo ‘sofisticato modo’ di dare alito ad un fecondo percorso storico-epistemologico, per la sua capacità di dar conto delle “diverse aspirazioni umane e del fisico” e dell’uomo di scienza in generale, di fare interagire i diversi saperi tra di loro, di saper coniugare “l’esprit de géométrie à coté de l’esprit de finesse”, di farsi carico sia “delle ragioni logiche che extralogiche” presenti nell’attività scientifiche; ma soprattutto le sue lucide e raffinate analisi ci offrono degli antidoti contro posizioni unilaterali in quanto offrono una via di mezzo tra i pericoli che sono il dogmatismo e lo scetticismo”. Però, anche se pur ‘sofisticata’, per Stoffel “l’epistemologia duhemiana rimane parziale in quanto si applica molto bene alla scienza già solidamente costituita e meno a quella in via di costituzione” col privilegiare i momenti deduttivi ,“di ordine, di coerenza” rispetto ai pure importanti momenti inventivi che sono l’altro essenziale aspetto della ricerca scientifica su cui insisterà in particolar modo successivamente Gaston Bachelard che, come Koyré, sarà uno dei suoi critici più avveduti.
Ma come eredità di Duhem non di poco conto da tenere presente, che non sarà tenuta in debito conto da quelle figure che da lì a poco daranno vita alla corrente cosiddetta Standard in filosofia della scienza e che pure lo terranno presente, è il nesso inscindibile tra storia e filosofia della scienza, che gli ha permesso, per usare un’espressione di Federigo Enriques, di non cadere nella ‘Scilla del dogmatismo e nella Cariddi dello scetticismo’; e ancora, come afferma Stefano Bordoni nella prefazione a Realtà e rappresentazione, grazie alla estrema ‘libertà di pensiero’ messa in atto, il suo percorso ci offre una immagine della scienza, di cui si avverte il bisogno a più livelli, imperniato su un solido ‘realismo’ non in senso di categoria filosofica, ma come atteggiamento culturale “che spoglia la scienza delle sue mitizzazioni, e tenta di comprenderla e illustrarla per ciò che essa è in quanto prassi reale. E questi lavori sulla singolare figura di Pierre Duhem ‘scienziato-filosofo’ aiutano in tal senso e nello stesso tempo ci permettono di cogliere la scienza come pensiero, pensée des sciences, aspetto questo, come ha scritto qualche anno fa Dominique Lecourt, oublié e messo da parte dalle varie forme, vecchie e nuove, sia di scientismo che di anti-scienza, sempre in agguato e pronte ad incunearsi con le loro visioni riduttive e deformanti della scienza nelle nostre menti se non sono abbastanza attrezzate per cogliere quella che Gaston Bachelard, già negli anni ’30, chiamava la complexité de la pensée scientifique.