Il contributo di Andrea Angelini

Le diverse vicende del mondo contemporaneo stanno mostrando sempre di più la loro ‘rugosità’, per parafrasare Simone Weil che, non a caso e per scelta teorico-esistenziale, ne ha attraversato alcune col darci indicazioni ancora oggi degne di essere tenute in attenta considerazione. Alcune di queste vicende non sono facilmente percepibili per la loro intrinseca complessità; l’aver poi ‘mentito’ verso di esse, sempre per usare un’altra espressione di Weil, ha portato definitivamente alla crisi di tutti quei paradigmi unidirezionali messi in piedi da una certa modernità, la quale non ha fatto i conti sino in fondo con i ‘vari volti della verità’ – a dirla con Aldo G. Gargani. Il dramma poi è che tali punti di vista che si basano su logiche per loro natura riduttive sono diventati punti di riferimento di scelte politiche i cui effetti disastrosi, verificatisi nella storia dell’intero Novecento, sono ormai sotto gli occhi di tutti. E tutto questo è ancora una volta indicativo del fatto, come gran parte del più sano pensiero filosofico-scientifico degli ultimi anni da più parti sta con forza mettendo all’ordine del giorno, che gli stili di pensiero ­– o ‘abiti concettuali’, a dirla sempre con Gargani – che si costruiscono al di là della loro efficacia ermeneutica, hanno risvolti politici sia a breve che a lungo termine.

Cercando di smuovere e rinnovare alcuni dibattiti del lungo Novecento, il gruppo di ricerca diretto da Manlio Iofrida dal significativo titolo ‘Officine filosofiche’ – che trova sbocco nell’omonima collana editoriale prodotta con l’ausilio di un comitato scientifico e redazionale – affronta da vari anni in particolar modo i temi dell’ecologia, dell’antropologia e della tecnica. Tale non comune percorso si avvale criticamente dell’apporto concettuale fornito da diversi filoni di pensiero europei come quello francese sulla linea che va da Sartre e Merleau-Ponty fino a Foucault e Deleuze, e quello tedesco della Scuola di Francoforte e dell’antropologia filosofica, i quali vengono coniugati con alcuni filoni della tradizione marxista.

Si rivela oltremodo interessante sul piano concettuale il quinto volume di ‘Officine Filosofiche’ dal titolo Scienza. Tecnica Capitalismo. Una prospettiva ecologica, a cura di M. Iofrida, (Modena, STEM Mucchi Ed. 2020), con due distinte sezioni: la prima  presenta un denso dossier,  curato da Andrea Angelini, intitolato ‘Prospettive epistemologiche: percorsi tra scienza, politica e filosofia’, il quale contiene scritti di importanti studiosi italiani e stranieri (Elena Gagliasso, Giuseppe Longo, Ana Soto, Carlos Sonnesnschein, Maël Montévil, Dominique Lestel, Alfonso M. Iacono, Alessandro Sarti, Marco Coratolo e lo stesso Angelini); la seconda parte si concentra invece sui rapporti tra ‘Tecnica, capitalismo, ecologia’ (Igor Pelgreffi, Alessandro Dondi e Matteo Bergamaschi). Pur pensato, come afferma Iofrida nella presentazione,  prima dell’avvento di quello che viene considerato un vero e proprio ‘evento storico’, ovvero la pandemia di Covid-19 che viene considerata come ‘una cesura fra XX e XXI secolo’, tale volume sin dai primi contributi dà alla questione ecologica una consistente centralità socio-epistemica. In questo senso, questo volume ci ricorda, quasi in termini weiliani, che il reale preme col darci dei significativi indizi che vanno urgentemente colti: “la natura (nel senso leopardiano del termine…) ha battuto un colpo ed ha ricordato agli uomini la sua irriducibilità, ridicolizzando i miti infantili del suo padroneggiamento integrale e dell’artificialismo assoluto”.

All’interno di questo quadro storico, la prima parte e più consistente parte del volume ci offre una serie di strumenti concettuali in grado di affrontare in maniera più organica i complessi rapporti tra scienza (scienze della vita in particolar modo), epistemologia e politica, campi di indagine che sino a pochi decenni fa erano considerati separati tra di loro ma la cui coniugazione, negli ultimi tempi, sta arricchendo di ulteriori capitoli il già vasto territorio della filosofia della scienza e dell’epistemologia, allargandone gli orizzonti conoscitivi e metodologici. Ed è in primis da sottolineare come in tale nuovo ambito stiano avendo un ruolo non secondario dei giovani ricercatori che, più sensibili ‘ai colpi’ della natura e della vita viste in una dimensione più globale rispetto alla generazione precedente, stanno aprendo inediti e promettenti itinerari di ricerca. Tra questi è da segnalare Andrea Angelini il quale, a partire dai cruciali contributi all’epistemologia biologica presenti nell’opera di Georges Canguilhem – figura sempre più centrale del panorama filosofico francese (ma non solo) ed oggetto di vari suoi studi – sta delineando un percorso di ricerca rivolto a gettare le basi di una vera e propria epistemologia dell’ecologia, o meglio di quella che lui chiama una ‘epistemologia politica dell’ecologia’.

Angelini parte dalla considerazione del fatto che nello sfaccettato dibattito intorno all’ecologia, si oscilla spesso tra un approccio tecnocratico e scientista incapace d’intrecciarsi con la dimensione politica, ed un appello alla politicità dell’ecologia che spesso sacrifica ogni problematica di ordine epistemologico, ovvero poco incline a confrontarsi anche con la dimensione scientifica dell’ecologia – la quale presenta, come avviene del resto per ogni scienza, una pluralità di punti di vista in continua rimodulazione. I problemi specifici della scienza dell’ambiente si situano secondo Angelini sul “confine poroso” tra discorso scientifico e discorso politico, rendendo necessario uno sguardo molteplice rivolto alla stratificazione dei problemi ecologici e ai diversi strumenti categoriali, transdisciplinari, necessari ad   affrontarli. Una stratificazione che si esprime pienamente nel caso della pandemia determinata dal Covid-19, fenomeno caratterizzato dal mettere al centro dell’attenzione il rapporto tra scienza, società e politica e dove si evidenziano sempre di più le relazioni tra “biologia, epidemiologia, ecologia scientifica e politica, etologia e relazioni simbiotiche tra specie viventi”. Nel suo articolo che chiude il dossier, Angelini offre un excursus storico-critico inerente ai primi sviluppi dell’ambientalismo italiano avvenuto negli anni Sessanta e Settanta, mostrando come in essi si esprimesse un’articolazione virtuosa tra lotte politiche e strumenti critici di matrice scientifica, e come anche a partire da questa capacità di un impiego militante della scienza sia stato possibile rinnovare il dibattito sulla struttura stessa del discorso scientifico – basti pensare al dibattito sulla “non-neutralità” della scienza che vede tra i suoi maggiori protagonisti una figura come quella di Marcello Cini. A questa dimensione di rinnovamento “antiscientista ma non antiscientifico” della riflessione epistemologica si sovrappone anche un largo dibattito, di portata internazionale, relativo alla presa di coscienza della specificità delle scienze biologiche nel loro rivolgersi a processi storico-evolutivi e sistemici in stretta interazione con quelli sociali.

Angelini fa suo in maniera programmatica il punto di vista emergente negli ultimi tempi, analizzato in alcuni contributi della prima parte: bisogna prendere coscienza del fatto che è in atto il  passaggio decisivo ‘dal secolo del gene al secolo dell’organismo’ (come si afferma nel contributo, dalla grande rilevanza scientifica, di Montévil, Longo, Soto, Sonnenschein); bisogna assumere la nostra dimensione relazionale di ‘soggetti ambientati’ e di ‘condividui’, come afferma Elena Gagliasso: “un dislocamento della riflessione filosofica e cognitiva che riguarda il soggetto della prima modernità, fulcro del pensiero classico, dell’individualismo liberale, con la sua autosufficienza referenziale e sostanzialmente ‘irrelata’” (questione al centro anche dell’articolo di Alfonso M. Iacono).

Alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche nell’ambito delle scienze della vita, le quali si presentano come scienze della singolarità e nello stesso tempo della globalità, Angelini viene a situare il suo discorso in tale ‘tensione tra filosofia, scienza e politica’ che trova nell’ “epistemologia antiriduzionista della complessità il suo orizzonte di riflessione”, nonché lo strumento indispensabile per una “comprensione critica del presente” e per “la sua trasformazione secondo nuovi principi”; pensare attraverso e con i problemi ecologici significa fare i conti con quel “rigore dell’incertezza”, richiamandosi ancora a Cini, che richiede una continua “revisione dei criteri di scientificità” al di là di ogni pretesa ‘fondazionalista’, e senza cadere in una ‘posizione relativista o irrazionalista’.

Questo orizzonte filosofico ed epistemologico-politico plurivoco deve essere impiegato al fine di sviluppare una “comprensione generale – per quanto mai pura e sempre in fieri – dei processi di lunga durata in cui siamo coinvolti, così come delle trasformazioni relativamente rapide, ma di portata geologica, che sono attualmente in corso nella biosfera”. Così ecologia e politica sono strettamente legate ed il loro dialogo costruttivo è ritenuto utile per comprendere meglio la nostra “congiuntura bio-storica”, nella quale si situa anche l’epidemia di Covid-19 nella sua “complessità co-evolutiva, multi-temporale, socio-economica, simbiotica”. Per comprendere adeguatamente questa congiuntura occorrono più conoscenze scientifiche “indispensabili per elaborare un’ontologia storica del presente e comprendere i processi che lo attraversano”. Ma nello stesso tempo Angelini ci avverte che tale “approccio eco-geo-storico deve evitare ogni tentazione totalizzate”, nel senso che di fronte ad eventi di portata planetaria non si può fare affidamento a soluzioni univoche, cadute dall’alto secondo il ‘mito del kosmotheoros’, vale a dire di uno sguardo di sorvolo che si vorrebbe capace di abbracciare l’intero destino planetario, ma occorre rispondere entro custodendo un approccio irriducibilmente plurale. Ogni riflessione ecologica si offre nella “cornice di un rapporto di senso specifico, incarnato nelle sue sedimentazioni storiche, mediato dalle sue tecniche e tecnologie, orientato dalle sue ’motivazioni’ con un ambiente che non è stato mai un oggetto neutrale”.

Così, una collana come ‘Officine filosofiche’ ci offre gli strumenti di un percorso teoretico che, a partire dai risultati delle scienze della vita e interrogado questi alla luce delle più avvertite metodologie prese in eredità dai dibattiti epistemologici italiani e francesi, arriva a “delineare quei vari volti della verità (Gargani) – come afferma Iofrida nella presentazione – la cui pluralità “è essenziale alla costruzione di una democrazia”, costituendo un aspetto imprescindibile  con cui gli uomini si rapportano “alla loro vita naturale e sociale”. Assumere questi ‘vari volti della verità’, coniugarli coerentemente nelle loro varie articolazioni, da quelle epistemiche a quelle sociali, come ha fatto Andrea Angelini dopo averne ‘fatto tesoro’ (nel senso biblico dei Proverbi) e averli interrogati nelle loro diverse ‘porosità’ e ‘rugosità’, è quello che ogni sano discorso filosofico è oggi più che mai obbligato a fare.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.