Usi e abusi delle parole quotidiane
C’è chi le considera armi e chi le tratta come tesori; chi riesce a ponderarle una ad una e chi proprio non può fare a meno di metterle fuori tutte; chi le considera inutili e secondarie rispetto ai “fatti” e chi, invece, le ritiene il presupposto di ogni cosa o azione. Possiamo cambiare prospettiva infinite volte …le parole resteranno sempre qualcosa di essenziale e irrinunciabile.
E non intendo con questo termine, sia chiaro, solo quelle “parlate”, bensì anche quelle taciute, volontariamente, per paura di esporsi, per timore delle conseguenze, oppure per la costrizione di una qualche malattia. Penso al mondo sconfinato dell’autismo o della disabilità in generale: quante parole consegnate alla gestualità, mai dette eppure esistenti, palesi, vibranti in animi infinitamente più vasti di un limite psicofisico.
Zόon logòn échon, “animale avente parola”: così Aristotele nella Politica definisce l’uomo, sottolineando come il suo essere “animale politico”, ossia fatto per la polis, per la società, per lo stare insieme, sia indissolubilmente legato a questa straordinaria potenzialità comunicativa. I sofisti, addirittura, trovarono nel potere persuasivo delle parole la via migliore per l’educazione morale e politica dei giovani. Corrente filosofica particolare quella sofista, così estrema da trovare le critiche dello stesso Aristotele, il quale chissà come avrebbe reagito se avesse potuto ascoltare con le proprie orecchie, secoli e secoli dopo, le affermazioni di Nietzsche: “parole e suoni non son forse ponti apparenti tra cose eternamente disgiunte?”. In “Così parlò Zarathustra”, infatti, la parola è definita una menzogna, una “divina follia” con cui l’uomo “saltella oltre le cose”.
Non sono qui per dire chi abbia ragione, né per esaltare le aperture sociali della Grecia antica e condannare a priori il pessimismo antropologico ed esistenziale di fine Ottocento. Non sono qui nemmeno per prendere da grandi filosofi e pensatori qualche citazione, spargerla qua e là sul web (come si usa oggi) per radicare posizioni personali, magari debolissime, nelle illustri citazioni di qualcun altro.
Ho pensato semplicemente di dedicare questo spazio di espressione, donatomi da Odysseo, a una riflessione sulle parole, quelle più semplici e quotidiane, usate e abusate, per cercare di andare oltre i luoghi comuni nei quali spesso vengono costrette dalle nostre ristrettezze di pensiero, dagli alibi che ci costruiamo per giustificarci in tutto e per tutto, dai pericolosi dualismi che trattano la realtà come una figura di geometria piana, anziché come un prisma con più angolature e possibilità. E allora ho pensato di iniziare proprio dalla parola “parole” …e scusate il giro di parole! È un esperimento e chiedo a ciascuno il dono della critica e del suggerimento …e, perché no, del supporto.
È qualcosa che nasce dal cuore, un cuore sempre in ricerca, certo un po’ stanco di stereotipi, ma sempre fiducioso nella bellezza degli incontri, dei dialoghi, dei confronti, delle parole insomma. Perché non possiamo vivere senza comunicare: il legittimo desiderio di gesti e l’insopprimibile bisogno di parole non possono né devono essere disgiunti, semmai educati ed equilibrati in questo tempo così social, così global, in cui quotidianamente vengono immesse on-line fiumi di parole per condividere, liberamente, il proprio essere.
Desiderio di espressione o fuga dalla comunicazione faccia a faccia? Possibilità di diffusione di valori o pura pubblicità? Spazio di conferma di sé o palcoscenico per cercare di mostrarci per ciò che vorremmo essere o diventare, se solo l’amarezza dell’esistenza non ci mettesse i bastoni tra le ruote?! Forse un po’ di tutto.
Est modus in rebus, direbbe Orazio (parafrasando “la virtù sta nel mezzo” di aristotelica memoria): è necessario mantenere un sano equilibrio per riappropriarci delle parole usate, dovunque, in ogni contesto, affinché siano pensate ed esprimano veramente noi stessi, giacchè uno strumento esiste per essere di supporto a qualcuno o a qualcosa, non a sostituirne l’essenza più profonda. E allora cominciamo, insieme, alla riscoperta delle parole: di quelle “controsenso”, però, così da poter scrutare le cose dal maggior numero di prospettive possibili. Perché ogni realtà (lo ripeto) è un prisma. E come la luce ha bisogno di prismi per diventare arcobaleno, così ogni linguaggio si arricchisce e si colora solo se viene scomposto attraverso innumerevoli possibilità.
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Con le parole ( ma non solo con queste ) si può comunicare soltanto quello che si sa, se quello che si sa si identifica con quello che si è.
Ogni altro uso dei λόγοι (verba / parole ) è – a mio avviso – offesa verso il ΛΟΓΟΣ .
Parole molto profonde che denotano una grande sensibilità di animo!