Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, non può dimenticarlo. Chi lo ha incontrato attraverso i suoi scritti, ha l’impressione di averlo conosciuto da sempre. Don Tonino è ancora attuale, il suo stile sembra rivivere nello stile di papa Francesco che non a caso sarà a Molfetta il prossimo 20 aprile per i 25 anni dalla sua morte.

Questa sera, ad Andria, presso l’Hub Lab, in via F. d’Excelsis, 22, con inizio alle ore 20.00, Renato Brucoli, giornalista, scrittore, editore, amico e collaboratore di don Tonino, raccoglierà dalla sua bisaccia semi e parole di luce.

Prevista anche la proiezione de “L’anima attesa”, di Edoardo Winspeare.

Ciao Renato, l’antica consuetudine mi porta subito a darti del tu, e la tua grande conoscenza dell’uomo e del pastore don Tonino Bello mi induce a partire da una domanda diretta: quanto è ancora attuale il suo messaggio?

Ciao, Paolo. Quanto al darci del tu, non potrebbe essere altrimenti. Quanto all’attualità di don Tonino Bello, mi appare evidente. Il suo messaggio parla ai credenti e ai non credenti di ieri e di oggi, anche ai più giovani. La sua testimonianza è nel cuore del popolo. Numerose le assonanze con la figura di Papa Francesco: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!» è lo stesso auspicio di don Tonino Bello. Più attuale e presente di così!

Uomo evangelico, don Tonino?

Pace e carità sono, per lui, le parole più importanti del Vangelo.

“Pace a voi” è la prima parola del Risorto. La Chiesa deve tenerne conto. «Se le ultime parole di un moribondo vanno prese come un testamento e custodite con la venerazione che si deve alle reliquie, le prime parole del Risorto – sostiene don Tonino – vanno accolte con tutta l’attenzione che si deve ai manifesti programmatici. Ecco che la Chiesa, dal giorno di Pasqua, ha un compito preciso: annunciare la pace. Questo è il suo progetto politico, questa la sua linea diplomatica, questo il suo indirizzo amministrativo: la pace».

Carità è la chiave di lettura della “carriera” di Dio in Cristo: un abbassamento dopo l’altro. “Da ricco che era, si è fatto povero”, fino ad amare i poveri con viscere di misericordia. Ecco che don Tonino considera i poveri “beati e benedetti”, li cerca sulla Gerusalemme-Gerico delle nostre città, dà loro visibilità in un contesto desideroso di occultarli, si schiera dalla loro parte, si mette al loro servizio indossando il grembiule, offre loro un’ala di riserva, li accoglie in casa, scandisce la metodologia per la loro liberazione. E racchiude l’enciclica della sua vita in una sola frase: “La misura dell’amore è di amare senza misura”. Detto fatto: per lui, fra il dire e il fare, non c’è di mezzo il mare.

A volte,  sembra di vivere tempi in cui la speranza faccia fatica. Don Tonino, al contrario, parlava come un profeta di tempi nuovi…

Il suo sogno è l’umanità coesa, conviviale, in comunione cioè, che assume le differenze come fattore di ricchezza e di crescita, non come occasione di esclusione e separazione. Cerca la pace come pienezza di libertà, rispetto della dignità umana, accettazione e valorizzazione dell’alterità, comunione vera. Pace come dono, che viene dall’alto per innervare il mondo. Che chiede di diventare prassi. Non la pace monolitica, fondata sull’assenza di guerra soltanto (che don Tonino non ha paura di attraversare, come a Sarajevo) ma quella “trinitaria”, che ingloba l’urgenza della giustizia nel rapporto umano e tra i popoli, e della salvaguardia del creato, fattori decisivi per evitare l’insorgere di ogni conflitto. È la profezia di Isaia, che don Tonino fa sua e ribadisce ai convenuti presso l’Arena di Verona nel 1986, data spartiacque nella storia del pacifismo contemporaneo.

La butto lì: possiamo dire che don Tonino è stato e ha vissuto da santo?

La Chiesa sta acclarando la sua santità in vista della canonizzazione. Credo che presto ci sarà la dichiarazione di venerabilità. Ma per la gente don Tonino è già santo, perché ha fatto della sua vita un tempo d’amore nella ferialità, a imitazione di Cristo. La santità e l’eternità, per questo, gli appartengono.

Vorrei aggiungere che da vescovo, nel 1990, ha avviato il processo di canonizzazione di don Ambrogio Grittani, un sacerdote estremamente colto e brillante, che mentre svolgeva la docenza di latino al Seminario Regionale di Molfetta, ha avviato un’opera in favore dei barboni, numerosi nell’immediato dopoguerra, tanto da essere definito “il prete degli accattoni”: «I poveri non devono essere più considerati come ammassi di vermi, ma prezioso tesoro da custodire. Noi vogliamo appartenere alla schiera dei simpatici pazzi che si sono fatti poveri per amore dei poveri». Don Ambrogio Grittani, al Regionale, insegnava latino anche a Tonino Bello. Si racconta che un giorno, per spegnere la sua vivacità durante la lezione, gli diede un buffetto sul viso, aggiungendo: «Te lo sei meritato, però farai strada!». A me sembra una profezia, tanto più che la Chiesa ha appena dichiarato la venerabilità di don Ambrogio Grittani.

“Venerabile” da morto, ma… quanto è stato compreso da vivo, specie dall’Istituzione?

È stato compreso dai semplici, dagli umili, dai giovani, che costituivano la componente più ampia del popolo di Dio: lo hanno percepito come loro compagno di strada. Scarsamente compreso dalla gerarchia e da certi ambienti clericali incapaci di metabolizzare le principali istanze del Concilio Vaticano II: la Chiesa estroversa, missionaria, che attraversa la navata del mondo, fa proprie “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi”, e si apre alla mondialità, nuovo orizzonte etico del credente.

Va aggiunto che gli è stata ostile anche buona parte del potere politico, specie la componente interessata al commercio delle armi, alla militarizzazione del territorio, alla politica di aggressione verso altri popoli, peraltro non ammessa dall’articolo 11 della Costituzione italiana che letteralmente “ripudia” la guerra. Qualcuno ricorda la “guerra del Golfo”? Il ceto politico che l’ha giustificata, ha visto in don Tonino Bello una persona estremamente scomoda e finanche pericolosa.

Qual è il significato della visita di Papa Francesco in Puglia, in coincidenza con il 25° dies natalis di don Tonino Bello?

Rendere omaggio, come già avvenuto per altre personalità, a un autorevole testimone di Cristo nel contemporaneo, fra i principali attuatori del Vaticano II. Una figura “evangelicamente rivoluzionaria”, capace di suscitare cieli nuovi e terra nuova. Un “vescovo sociale”, che ha solidarizzato con i lavoratori in crisi, ha ospitato gli sfrattati in episcopio, ha accompagnato personalmente il primo malato di Aids in diocesi, ha dato risposte concrete ai poveri, ha salvato dalla tossicodipendenza centinaia di giovani, ha accolto i migranti in esodo dalla martoriata Albania agli inizi degli anni Novanta. Tutto questo, in costante atteggiamento di prossimità misericordiosa. Cercando, conoscendo e accarezzando sempre il volto dell’altro.

Permettimi un’ultima domanda: quali e quante assonanze cogli tra la figura di Papa Francesco e quella di don Tonino Bello?

Veramente tante! Colte fin dal primo momento. La capacità di chiedere benedizione al popolo di Dio, prima di renderla. La “Chiesa in uscita”, la “Chiesa del grembiule”, il “pastore che ha l’odore delle pecore”, l’invito a “toccare la carne di Cristo” nei poveri e di sostare con loro, la necessità di ospitare i migranti nelle “case vuote” delle parrocchie e degli istituti religiosi, l’impegno per la pace, l’attenzione ai giovani, l’itineranza ben oltre il modello di Chiesa residenziale… che lo porta, ad esempio, ad Alessano e Molfetta il 20 aprile.

 


FontePhoto credits: Renato Brucoli
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...