
Grazie, Marielle! Sei stata freddata, perché donna, nera, bisessuale, femminista, solidale con i poveri!
Nessuno la conosceva in Italia. Fino a qualche giorno fa. Ma, tantissimi a Rio de Janeiro, in Brasile. Da anni. E molti, quando si è diffusa la notizia della spietata uccisione, nel suo Paese hanno pianto, sofferto, imprecato. Esagitati, sconvolti, increduli, scuotevano la testa, si coprivano il viso con le mani, urlando, bestemmiando, imprecando: “E’ impossibile, non può essere vero! Farabutti! Assassini! Dio dove sei!? Batti un colpo!”
Speravano che fosse circolata un’informazione infondata. Auspicavano, persino, che Marielle fosse solo ferita. Che sopravvivesse! Che potesse continuare a lottare con la lungimiranza, la generosità, l’entusiasmo e la tenacia di sempre! Ma in cuor loro, affranti, temevano convintamente che si trattava della cruda verità, vivendo in una realtà sociale dove i diritti elementari vengono sistematicamente umiliati. Dove la fonte primigenia di tutti i diritti, la sacralità della vita viene sistematicamente ignorata.
Da tempo, l’incombente minaccia del massacro volteggiava nei cieli e negli animi di molti cariochi in costante apprensione per la sorte della coraggiosa donna. Così come da sempre aleggia quotidianamente il pericolo per la vita che corrono i tanti missionari, tra i quali il coraggioso comboniano barlettano Saverio Paolillo, impegnati strenuamente nel riconoscere la dignità dei più deboli, nel favorirne l’emancipazione culturale e nell’alleviarne le sofferenze più vistose.
Un giorno o l’altro doveva succedere. Era pericolosa! Lei. Perché donna. Di 38 anni. Insidiosissima! Perché nera. Temibile, spregevole! Perché bisessuale. Perché femminista a tutto tondo, protesa nell’accogliere e valorizzare congiuntamente la dignità della donna e dell’uomo, in cammino, mano nella mano, verso un luminoso orizzonte comune. Sprezzante del pericolo! Perché amava la vita. La sua. Quella di chi faceva salti mortali per sopravvivere. Quella di tutte le forme viventi.
Da bambina aveva compreso il potere rivoluzionario della cultura. Per capire. Per ribaltare uno status quo indecente. Per ideare, per programmare. In comunità. Per dare senso alla vita. Perciò, si era laureata in sociologia. Con mille sacrifici e privazioni. Non era stato facile, infatti, conseguire il difficile traguardo culturale. Per lei che era nata e cresciuta nella favela da Maré, una delle zone più violente di Rio de Janeiro.
Dove i quattrini erano e… sono sempre pochi. E mancavano, quando bisognava acquistare libri e quaderni. Dove si mangiava e si mangia miseramente, quando va bene, zuppa di fagioli, manioca fritta, pane e formaggio, su mense malferme, con l’acqua piovana che imperversa a rivoli dall’alto.
Dove ai bambini viene rubata l’infanzia ed il diritto a frequentare la scuola per una vita dignitosa. Dove uno straccio di lavoro esisteva e si concretizza solo per chi spaccia, si arruola nella criminalità, vende il proprio corpo o si arrabatta in scampoli di precarietà e sfruttamento.
Dove lo Stato… si piegava e si flette fino a terra davanti allo strapotere dei pochi latifondisti dalle sterminate distese – migliaia di ettari – di monocolture di mais, soia, canna da zucchero, caucciù… si inginocchiava e si genuflette alla straripante prepotenza dei narcotrafficanti e… non tutelava e non difende… non assisteva e non accoglie con calore umano chi ne ha bisogno.
Dove la miseria, per molti, è perennemente vissuta come un destino ineludibile! Ineluttabile! Come una pietra tombale che non potrà mai rotolare.
Ma non si era montata la testa – tarlo perennemente in agguato nell’animo umano per una manciata di cose o privilegi – voltando le spalle alla gente che vive in squallide stamberghe di legno o mattoni nudi, accatastate le une sulle altre, in malsane stradicciole, respirando i miasmi della fogna a cielo aperto, l’odore soffocante della marijuana ed il fetore del degrado umano.
Anzi… temprata nel crogiuolo della miseria e nella fragranza della cultura alta, profumava di quella spontanea umiltà, che la portava… a ringraziare i molti che l’avevano aiutata a crescere… a radicarsi ancora più profondamente nelle esigenze e nei valori dei perdenti di ogni dove. A procedere a testa alta, affrontando, imperterrita, ogni sorta di pericoli.
Era lucidamente consapevole di vivere in un Paese gravato da una crisi economica, generatrice di diseguaglianza, disoccupazione, disperazione e microcriminalità. Dove da tempo immemorabile si aspetta una riforma agraria. Dove la maggioranza della popolazione non ha rappresentanze formali. Dove l’imprenditoria nazionale, succube delle imprese transnazionali e del capitalismo finanziario, non riesce ad elaborare una visione generosa di Paese. Eppure, è un terra traboccante di risorse naturali ed umane!
Perciò, da subito, aveva imboccato la strada della politica, inscrivendosi al PSOL,“Partito Socialismo e libertà”, una formazione di sinistra. Nel 2016 Marielle Franco diventava consigliere comunale a Rio. Nell’urna a ricordarsi di lei, del suo generoso impegno, erano stati in 46.000. Perché difendeva i diritti delle donne e delle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender). Perché si batteva per gli abitanti delle favelas, le fasce più povere della popolazione. Perché denunciava le violenze e gli abusi commessi dalla polizia militare.
Saputa la notizia, subito, uomini e donne di ogni colore si sono precipitati nelle strade, sono scesi in piazza, inscenando una delle manifestazioni spontanee più imponenti degli ultimi anni. Indossavano abiti neri, perché si sentivano a lutto per la sua morte. Chiedevano giustizia, sapendo che non sarebbe arrivata, ed intonavano slogan contro la polizia: “Basta uccisioni, è tempo di reagire!”
La bara, che raccoglieva le sue spoglie, crivellate da diversi proiettili, veniva orgogliosamente portata a spalle da donne e uomini del popolo che l’amavano. L’altra era quella dell’autista Anderson Pedro Gomes, che aveva perso la vita assieme a lei nel centro della megalopoli brasiliana. “La voce di Marielle non sarà zittita” ritmavano, con un pianto straziante, i molti che accompagnavano il feretro.
Lo sdegno dei rappresentati delle istituzioni? Parole di circostanza, litanie prive di senso, vuoti a perdere, neppure riciclabili, per le immani responsabilità politiche e la loro connivenza con le malsane forze economiche nazionali e transnazionali.
Nel suo ultimo tweet, il giorno prima dell’esecuzione, accusando la polizia militare di aver ucciso, in una favela, un giovane che stava uscendo da una chiesa, aveva scritto: “Quante altre persone dovranno morire, prima che questa guerra abbia fine?”
Grazie, Marielle, di essere esistita!