Aristocrazie fanciulline e le Costituzioni umaniste che verranno

Sabato scorso una bambina di dieci anni, che conosco benissimo sin dai suoi primi respiri di vita, mi ha raccontato una lettura che sta facendo in questi giorni su indicazione delle sue maestre. Sta leggendo alcuni diari di bambini ebrei ai tempi del Grande Olocausto. Nel descrivermi soltanto alcuni particolari sulle sensazioni che quei bambini hanno provato, si è messa a piangere un pochino. Le ho detto di pensare che dal 1948 in poi in Italia è in vigore una Costituzione  che, tenendo conto di tutto quel male vissuto, ha sancito e garantito diritti umani, inalienabilmente.

Le ho detto che abbiamo vinto noi,  quelli che credono nell’umanità e che come lei si emozionano, per l’umanità. Le ho detto pure che le sue sincere lacrime mi fanno ben sperare nel futuro, nella fortezza della sensibilità umana, che di qui ai prossimi decenni potrà ancora e meglio sviluppare i suoi passi, le sue ulteriori conquiste oltre il pianto delle civiltà, illuse, tradite, svendute. Le ho detto che da scrittore mi fa piacere che ci sia ancora chi ha il potere di commuoversi lasciandosi muovere dalla forza lieve di un libro.

L’ho rassicurata, o comunque ho provato a farlo, con un   mix   di raziocinio sempre composto e un abbraccio   familiare  (lecito   ed opportuno per le cautele prese durante questo periodo epidemico covidino). Le ho detto che ci siamo noi, giovani e adulti, a proteggere e portare avanti nonché far evolvere i diritti, affinché i grandi o piccoli olocausti non accadano: mai più!

La fragilità della democrazia liberale, pluralista, umana ed umanista riposa radicata anche e persino sulle coccole, sulle lacrime passeggere e sui sorrisi vincenti dei bambini; questa demo-fragilità nobile si fortifica sugli orizzonti mobili della consapevolezza spontanea e sincera dei bambini. La bellezza del realismo libero e liberante fiorisce, sullo sguardo incuriosito di chi senza automatismi di maniera accarezza la scoperta dell’umanità. Di umanità invero è fatta la storia dei nostri avi: una storia di carne, sospiri ed ossa, tra speranze momentaneamente illuse e vittorie conquistate a dure resilienze, a coraggiose resistenze.

Domenica ha voluto prestare a quella bambina un libricino che racconta un insieme di sogni divenuti fragili realtà in movimento: le ho dato un testo della Costituzione italiana, repubblicana, democratica, lavorista. Le ho detto di leggere almeno i primi 54 articoli. Li ha divorati con un grande interesse, scaturito poi in alcune domande molto attente, capaci di passare dall’Olimpo del diritto generale e astratto alla piazza dei diritti individuali, in riferimento a varie situazioni della vita reale, anche molto lontane dalla quotidianità di una bambina.

Mentre leggeva, tra un articolo e un altro, le ho detto che quella Costituzione ha rappresentato anche una risposta alla tragedia del Grande Olocausto e della negazione dei diritti. Le ho chiesto quale fosse il suo articolo preferito. Mi ha risposto con molta spontaneità: “il 3”. Le ho detto che è un articolo bellissimo, il cui primo comma si occupa di uguaglianza formale di tutti davanti alla legge, e il cui secondo comma si occupa di uguaglianza sostanziale, per rimuovere gli ostacoli che per un motivo o per un altro possono limitare   a   priori   il percorso realizzativo delle persone tutte, su più piani.

L’economista, ingegnere e sociologo Vilfredo Pareto – nato nel 1848 e morto nel 1923 – sostenne che   illusione   “è il credere che di fronte alla classe dominante stia, al presente, il popolo”. Per Pareto “sta, ed è cosa ben diversa, una nuova e futura aristocrazia, che si appoggia sul popolo”.

Da ragazzino ho partecipato e ho organizzato varie battaglie nonviolente, pluraliste, con la stella polare dei valori della socialità per tutti i popoli e tra tutti i popoli all’insegna della pace, senza classismi e senza eccessive diseguaglianze dovute alle fortune econometriche di nascita. Oggi con un pizzico in più di esperienza sull’animo umano dei più, ed anche con una manciata di anni in più – grazie al cielo non tanti – mi ritrovo a non considerare più come troppo ‘arrese’ o ‘arrendendoli’ quelle considerazioni paretiane. Razionalmente vocato, quale sono, alla democrazia rappresentativa neoliberale, capillarizzata sensibilmente da istituti progressivi di democrazia più diretta, in equilibrio con le autodeterminazioni non demagogiche dei popoli sovrani, davanti al bivio dell’accettare o meno la “nuova e futura aristocrazia” che per Pareto soltanto “si appoggia sul popolo”, sospendo il giudizio. Culturalmente non amante del concetto tradizionale e realpolitico-storico di aristocrazia, salvo in calcio d’angolo la nuova “aristocrazia” papabile, quella del futuro futuribile: quella qualificata dignitosamente e pragmaticamente dalla meritocrazia, quella illuminata dai valori della resilienza e non del vizio, quella che valorizza percorsi di battaglia prima di sedere su scranni e sedie pubbliche in vista. I nuovi “aristoi” dell’avvenire dovranno essere i cultori raminghi della conoscenza sociale plurima e plurale, i poliedrici e competenti camminanti mai parcheggiati sulle cucce dell’autoreferenzialità.

Se di neo-aristocrazia paretiana si vorrà discorrere, per la futura classe dirigente, si dovrà plasmare   ex   novo   quella parola a tratti pericolosa con la creta civica della meritocrazia e della sensibilità. Figli delle resilienze nel conquistare obiettivi e nel narrare bisogni, prospettive e rivoluzioni di libertà, i bambini che sanno ancora piangere – momentaneamente – per i sacrifici degli avi, che sanno amare la scoperta dei diritti conquistati e scolpiti nelle sacre laiche Carte, saranno migliori, “aristoi”, rispetto a chi ha finora contribuito a ipotecare l’esistenza suddita di popoli sovrani.

Oltre ogni ragionevole rischio d’abuso della   resilienza,  mamma   adottiva di questa piccola èra-Covid, raccogliamo già le fredde maschere cadute del populismo. Non ci basterà metterle da parte: dai fanciullini miglioristi ci aspettiamo una battaglia meritoria e meritocratica contro le dittature mobili del qualunquisticamente corretto, e corrotto. Iniziando noi.

 


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Luigi Trisolino, nato l’11 ottobre 1989 in Puglia, è giurista e giornalista, saggista e poeta, vive a Roma dove lavora a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’interno del Dipartimento per le riforme istituzionali. È avvocato, dottore di ricerca in “Discipline giuridiche storico-filosofiche, sovranazionali, internazionali e comparate”, più volte cultore di materie giuridiche e politologiche, è scrittore e ha pubblicato articoli, saggi, monografie, romanzistica, poesie. Ha lavorato presso l’ufficio Affari generali, organizzazione e metodo dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso la direzione amministrativa del Comune di Firenze, presso università, licei, studi legali, testate giornalistiche e case editrici. Appassionato di politica, difende le libertà e i diritti fondamentali delle persone, nonché il rispetto dei doveri inderogabili, con un attivismo indipendente e diplomatico, ponendo sempre al centro di ogni battaglia o dossier la cura per gli aspetti socioculturali e produttivi dell’esistere.

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