I giochi del dragone
Agli inizi degli anni 2000 la Cina aveva attratto le attenzioni di tutto il mondo per la sua poderosa crescita economica, che la poneva come principale competitor degli Stati Uniti per i decenni successivi. La sua grande ambizione non mancò di manifestarsi anche nello sport, con la volontà di organizzare il più importante evento sportivo del mondo: le Olimpiadi.
Nel 2000 il sogno di ospitare la rassegna a cinque cerchi svanì per una manciata di voti, ma il 2008 sembrò essere il momento opportuno, quello inciso nella numerologia. Nella seduta di Mosca del 13 luglio 2001 Pechino fu eletta con 56 voti al secondo turno di voti.
E allora l’assegnazione fu molto più che un successo di geopolitica dello sport, ma un segno del destino. I cinesi non fecero nulla per nasconderlo: l’Olimpiade iniziò alle ore 8 e 08 della sera dell’8 agosto 2008. L’otto nella simbologia numerica cinese è il numero della perfezione, della pienezza, dunque della felicità. Nell’anno del Topo la Cina avrebbe indossato il suo vestito migliore per aprirsi definitivamente al mondo e per tacciare le critiche sulla situazione in Tibet e sui diritti umani negati. Quando Hu Jintao dichiarò aperti i Giochi, lo svelamento era ormai compiuto e Beijing finiva di essere la Città Proibita.
Lo sport fu di altissimo livello e le prestazioni degli atleti furono tra le migliori in assoluto. Bastano due nomi per rompere gli indugi e proiettarci nel mondo del soprannaturale, della perfezione: Usain Bolt e Michael Phelps.
Eccentrico, istrionico, al punto da rendere ogni gara un evento a sé, Bolt dominò le gare veloci con irrisoria facilità. L’Uomo proiettò l’uomo laddove nessuno era riuscito e con lui fu un po’ come andare sulla luna. Vinse i 100 stabilendo il nuovo primato mondiale con 9”69 e con una corsa rallentata già qualche decina di metri prima. Sui 200 metri migliorò di due centesimi il primato di Michael Johnson e si aggiudicò il secondo oro con altrettanta facilità. Naturale l’esito della staffetta 4×100 e il primato del mondo ma nel 2017 il successo passò a Trinidad e Tobago per la positività del giamaicano Nesta Carter.
Se ad Atene aveva preso le misure, a Pechino Phelps fece sul serio. Otto delle dodici medaglie d’oro degli USA in vasca furono sue, come il record assoluto di ori conquistati in una singola Olimpiade che apparteneva a Mark Spitz. L’appetito vien mangiando e ci saranno ancora altre occasioni per incrementare il suo primato. Intanto lo Squalo di Baltimora salì a quattordici ori e Larisa Latynina era già stata superata.
Torniamo all’atletica e alla delusione cinese per l’infortunio di Liu Xiang che difendeva il titolo sui 110 metri a ostacoli. Per il Paese fu un duro colpo che riuscì ad aggiudicarsi solo due bronzi. Chi si piazzò dietro agli Stati Uniti nel medagliere fu il Kenya che vinse ben sei medaglie d’oro, tra cui quella di Samuel Kamau Wanjiru nella maratona. Se gli uomini degli Altipiani, dominarono la scena del mezzofondo e del fondo, a cui vanno aggiunti i successi dell’Etiope Bekele nei 5000 e 10000, quelli dei Caraibi dominarono le gare di velocità. Già detto di Bolt, la Fraser vinse i 100 metri e la Campbell-Brown i 200 metri, senza dimenticare le medaglie di Trinidad e Tobago. Nel salto con l’asta trionfò ancora la Isinbaeva, con un nuovo primato mondiale a 5,05 metri. Ci fu modo per gioire anche per noi con il successo di Alex Schwazer nella 50 km di marcia. Dopo quella vittoria inizierà un odissea per l’atleta trentino fatta di doping, di processi e assoluzioni che termineranno soltanto nell’anno in corso, con la fine della squalifica. Un buon numero di vittorie cinesi vennero dai tuffi, dove su otto medaglie d’oro la Cina ne ottenne sette, un dominio che continuerà anche dopo, nelle edizioni successive.
Fu l’Olimpiade dei grandi nomi: Nadal vinse il torneo di tennis, Federer il doppio con Wawrinka, il Dream Team si presentò e vinse, ovviamente, l’oro con LeBron James, Kobe Bryant e Carmelo Anthony, mentre l’Argentina di Leo Messi, incurante del divieto del Barcellona di partecipare ai Giochi Olimpici, vinse il secondo oro consecutivo nel calcio.
Come fu invece l’Olimpiade dell’Italia?
Buona nel complesso, con otto medaglie d’oro e con qualche delusione. La delusione più grande fu il quinto posto di Federica Pellegrini nei 400 metri sl, la sua gara, dove si presentava con il primato del mondo. Ma la Divina riuscì a riscattarsi poi nei 200 metri e colse la medaglia più importante della sua grandissima carriera. Va citato l’ottimo argento di Alessia Filippi negli 800 metri sl, il secondo podio della nostra spedizione. Poi, come sempre, ci fu la scherma, che forse avrebbe potuto ottenere anche qualcosa di più, ma gli ori di Tagliariol e dell’eterna Vezzali furono comunque importanti e ci piazzarono dietro alla sola Francia. Giulia Quintavalle salì sul podio più alto nella categoria 57 kg di judo. Altra medaglia rosa fu quella della Cainero che ottenne l’oro nello skeet femminile. Roberto Cammarelle migliorò la prestazione di Atene, dove fu bronzo, con l’oro di Pechino, che avrebbe meritato anche Clemente Russo nei pesi massimi. Andrea Minguzzi riportò il massimo alloro nella lotta greco-romana in Italia. Va citato l’argento importante ma sfortunato di Josefa Idem nel K1 500 m, dove per poco non si tramutò in oro, come l’argento di Sarmiento nel taekwondo. Alessandra Sensini mise in bacheca l’argento che le mancava, seconde furono le squadre di tiro con l’arco e del canottaggio nel quattro di coppia. Agli otto ori e ai novi argenti si aggiunsero i dieci bronzi, per un totale di ventisette medaglie che significò il nono posto nel medagliere. La Cina vinse cento medaglie, ben cinquantuno d’oro che le valsero il primo posto nel medagliere, davanti agli Stati Uniti e alla Russia.
La Gran Bretagna fu quarta con diciannove medaglie d’oro, frutto di investimenti mirati fatti nello sport dopo la disastrosa Olimpiade di Atlanta, dove il solo Redgrave regalò l’unico oro alla compagine britannica.
Gli atleti del Regno Unito si presentarono così nel miglior dei modi all’Olimpiade di casa, quella di Londra 2012, i Giochi che celebrarono i sessant’anni di regno di Elisabetta II.