
«Lo scopo dell’educazione è quello di trasformare gli specchi in finestre»
(Sydney J. Harris)
Prima mi davano fastidio. Ora confesso che ci rido su. Parlo delle raccomandazioni in tempi di esami di maturità (continuo a usare il nome che non si usa più perché mi piace troppo).
È da un po’ di anni che sono impegnato come presidente di commissione d’esame alle superiori e, puntualmente, nei giorni immediatamente precedenti l’esame arrivano le telefonate e le visite degli amici che magari non sentivi e non vedevi da tempo.
Per carità, mi fa persino piacere cogliere l’occasione per salutarli, ma il sentimento che prevale è quello che mi porta a sorridere.
Perché non sanno quello che rischiano o meglio rischierebbero.
E perché la situazione è proprio comica in sé.
Provo a spiegarmi, raccontandoti un aneddoto.
Quando ero ancora prof di liceo, il primo giorno in cui mettevo piede in classe, facevo l’appello e invitavo ogni mio neo-alunno a presentarsi brevemente. Era molto probabile che il suo cognome mi dicesse qualcosa per cui gli chiedevo conferma per sapere se per caso suo papà o sua mamma o suo zio o suo cugino, e così via, potesse essere un mio amico o almeno un mio conoscente, meglio ancora se un ex alunno un’ex alunna. Quando mi rispondevano affermativamente, il mio annuncio arrivava puntuale. Rivolto all’intera classe, esclamavo: “Bene, ragazzi, sappiate che Tizio è raccomandato!”.
Poi Tizio, un po’ imbarazzato, ma forse anche speranzoso, si sedeva e io proseguivo nell’appello ripetendo ogni volta la scenetta non appena avessi scovato un altro cognome illustre.
Finiva che almeno la metà, se non i due terzi, della classe era composto da “raccomandati” per il sol fatto che conoscevo qualcuno dei parenti degli interpellati.
Dopodiché, chiedevo ai pochi rimasti senza raccomandazione di mettersi in piedi e a quel punto spiegavo agli altri: “Bene, voi siete raccomandati dai vostri parenti. Questi però sono raccomandati direttamente da me…”.
E punto.
Capito perché la situazione di chi mi chiama per una raccomandazione è comica in sé e per sé? Perché chiedermi di “mettere a suo agio” un candidato, di trattarlo “come tu solo sai fare”, di usare “una giusta attenzione”, è come chiedermi di fare il mio mestiere. Niente più e niente di meno. Come dire al meccanico di aggiustare l’auto, al macellaio di affettare una bistecca, al barbiere di tagliare barba e capelli.
Quello che non sanno, però, è che, se la vita non mi avesse insegnato ad usare almeno un po’ di misericordia verso le mie e altrui fragilità, i raccomandati e i raccomandanti rischierebbero grosso.
Ma per davvero!
E punto.
Anzi, no. Prima voglio rivolgere una parola a te, caro maturando, cara maturanda.
Se posso dirtelo, goditi questi giorni. Smettila di sentire questo e quello. Lascia da parte sia l’ansia che la superficialità. Questi giorni non torneranno mai più: è tuo diritto, e forse persino dovere verso te stesso, gustarli fino in fondo, apprezzarne la fatica, la tensione, anche la paura.
Non farti rubare il ricordo. Nessuno potrebbe restituirtelo. Lascia perdere mercenari e millantatori.
Sei tu, sei solo tu. È la tua vita. E non tornerà mai più. Non così, almeno.
E se ti va, prova pure a fare il furbo. Lo capisco, fa parte del gioco dei ruoli. Ma ti avverto: se ti becco, son casi tuoi: dal nominativo all’ablativo. Smile.
E ora andiamo a esaminarci.
Robert Maynard Hutchins: «La mia idea di scuola è quello di turbare le menti dei giovani e infiammare il loro intelletto».
Daniel Pennac: «Tutto il male che si dice della scuola fa dimenticare il numero di bambini che ha salvato dalle tare, dai pregiudizi, dall’ottusità, dall’ignoranza, dalla stupidità, dalla cupidigia, dall’immobilità o dal fatalismo delle famiglie».
Talmud: «Il mondo può essere salvato solo dal soffio della scuola».
Bellissime considerazioni.
Gli esami forgiano il carattere e aiutano ad affrontare la vita che non è una ‘raccomandata’ con o senza ricevuta di ritorno 😀 ma una continua sfida per realizzare i nostri sogni.
Sottoscrivo, Antonietta!