«Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce»
(Platone)

«Non li convincerai mai tutti», mi scrisse, giorni fa, una mia attenta lettrice.

«Non avremo mai l’unanimità», le risposi.

Risposta insufficiente. Debole, in realtà. Oserei dire persino pusillanime.

«Li convinca lei!», avrei dovuto rispondere…

Caro lettore, adorata lettrice,

mi capita così, si ripete puntualmente. Può essere che una risposta convinca un mio interlocutore o una mia interlocutrice; ma se non convince me, ci rimugino su per giorni e giorni: e quella mia risposta non mi aveva convinto!

Finché, una mattina, non mi è sorta, istantanea, una riflessione: qual è la differenza tra una stanza buia ed una illuminata? Semplice, direbbe un bambino: che ci sia almeno una candela accesa.

I bambini sanno sempre le risposte semplici. Sono i grandi quelli complicati.

Per esempio, un grande potrebbe osservare che ci sarebbe più luce con venticinque candele accese. E direbbe un’ovvietà. Applausi al genio!

Tipica risposta da grandi. Che si perdono sempre l’essenziale.

Tra l’altro, le ovvietà hanno il potere di distrarci da ciò che merita attenzione. Nel nostro esempio, l’oggetto di attenzione mi appare chiaro: è una sola candela che fa la differenza tra luce e buio, non venticinque. Venticinque candele accese possono fare differenza solo tra meno luce e più luce.

Ma il salto tra luce e buio, quello decisivo, è compiuto da un’unica, povera candela: che sia accesa o spenta. La mia o la tua.

Io credo dovremmo pensarci, ogni volta in cui ci serviamo delle parole, ogni volta in cui scegliamo quali parole usare. Perché le parole sono fiammifero e soffio di vento: hanno il potere di accendere o spegnere la luce delle anime, la luce che ogni persona potrebbe diffondere. E che potrebbe passare di candela in candela: fino a venticinquemila. Verso l’infinito e oltre.

A questo punto, manco a dirlo: mi sembra evidente che, chi si lamenta delle ventiquattro candele spente, va alla ricerca di una comoda – forse vile? – giustificazione. Come dire: è buio perché tutti sono spenti.

No, amico mio, amica mia: è buio, finché io e te restiamo spenti. Accendi la tua candela, accendi la mia: et fiat lux. E sia la luce.

Edmond Rostand: «È di notte che è bello credere alla luce». Giorgio La Pira: «Bisogna forzare l’aurora a nascere». Paul Claudel: «La vita è una grande avventura verso la luce». Francesco Bacone: «La prima creatura di Dio fu la luce».

Caro lettore, adorata lettrice,

che la mia e tua vita possano essere divine, quale che sia il mio o il tuo modo di intendere il divino. Che la mia e tua vita possano essere luminose, quale che sia la mia o la tua luce.

E quale sia il numero di coloro con cui con-vinceremo.

Speriamo siano tanti. Uno solo basterebbe a fare la differenza. Foss’anche per gustare un caffè insieme.

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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...