Alcune riflessioni a proposito degli articoli di Andrea Colasuonno: “Da vittime ad artefici del male assoluto: Piombo fuso e la metamorfosi degli Ebrei” e “Il concetto di Dio dopo Piombo Fuso”.
Giovanni Paolo II, una volta, parlando dei due grandi mali del XX secolo, cioè il nazismo e il comunismo, definì il secondo come un “male storico o necessario” e il primo come un “male assoluto“.
Il comunismo ha ucciso in nome dello Stato, che in quel momento storico si voleva realizzare. Il nazismo ha ucciso in nome della natura (che nella sua etimologia significa “ciò che è nato”), o del sangue, quindi ha voluto far sparire un “dato” dall’essere.
Il male assoluto credo vada inteso in questo modo, come il programma dell’annientamento di un dato ontologico, quindi di un intero popolo. Karl Barth nella sua Dogmatica in sintesi (1946), diceva: un popolo che si considera superiore agli altri (i tedeschi) deve per forza (quindi a prescindere dalle condizioni storiche, bensì in maniera “incondizionata”, “metafisica”) annientare gli Ebrei, perché non può tollerare di avere accanto a sé un altro popolo che si definisca “eletto”. Nel caso di Israele ci sono entrambi i fattori, cioè, c’è sia la componente metafisica (la teologia del popolo eletto), sia la componente storica (la costruzione dello stato d’Israele).
Eppure, credo che la seconda sia prioritaria rispetto alla prima. Cioè il popolo è eletto non nella misura in cui annienta gli altri popoli che si definiscono tali, bensì nella misura in cui realizza il proprio Stato. O detto altrimenti: mentre il nazismo avrebbe sancito la superiorità ariana nella misura in cui avrebbe conquistato il mondo, Israele sancisce l’elezione del popolo nella misura in cui ottiene il suo Stato. Se per male assoluto intendiamo la morte dell’innocente, allora ogni Stato in guerra è protagonista del male assoluto. Ma se per male assoluto intendiamo la decisione consapevole di eliminare un dato dall’essere (cioè il genocidio), allora Israele è protagonista di un male storico.
Riguardo alla teologia di Jonas: ho sempre trovato un po’ sbrigativo, anzi, quasi una caricatura, il discorso sull’autolimitazione di Dio. Il libro di Giobbe parla chiaro: Dio consente il male, dal momento in cui consente una libertà a sua immagine e somiglianza. Non ne è l’artefice, ma lo consente. Dio è dietro il bene e il male. Il male non è solo l’azione dell’uomo o della libertà satanica, ma anche la passione dell’uomo, ciò che l’uomo per natura tende a patire. La natura dell’uomo è, teologicamente, la libertà del conflitto con Dio, quindi l’inaccettazione del limite. Il male è già nell’inaccettazione della finitezza. Il male è il momento in cui l’uomo patisce la sua libertà e il peso della sua domanda (“perché a me?”).
Se Dio non lo consentisse, il peccato originale sarebbe anestetizzato e la natura umana sarebbe irredimibile (un salmo recita “Nella prosperità l’uomo non comprende, e muore come ogni animale”). Qui inizia il sacrificio in cui Dio, entrando nel male, rende ciò che per “natura” (per nascita, “originale” appunto) è conflitto con Dio, figliolanza divina. Trasforma il limite dell’uomo nel luogo della salvezza. Questa è la vera onnipotenza.
E poi: non è il male di Auschwitz stato scoperto? Non hanno forse perso i nazisti? Non è ricordato oggi “Piombo Fuso“? Il male assoluto avrebbe ottenuto il suo compimento con la fine della memoria. Invece quel male è stato scoperto, e ora viene ricordato. Perché come recita un vecchio proverbio rabbinico: la memoria è come un arco che tende una freccia, più sarà tesa all’indietro, più saremo in grado di attraversare il futuro.
Peccato che Israele questo non lo stia facendo.
[…] Credo sia importante formare i nostri ragazzi e acquisire consapevolezza di quanto la storia ci abbia nascosto. Purtroppo la Nakba e la Naksa sono pagine di storia “strappate” dai libri, dallo Stato di Israele così come dalla storiografia europea. Tuttavia, e in questo devo essere sincero, di recente si è assistito ad recupero “storiografico” grazie proprio ad un gruppo di giornalisti e storici israeliani (cito fra tutti Ilan Pappé) i quali, da quando Israele ha aperto i suoi archivi storici afferenti la storia degli anni ‘50, hanno ripreso a considerare in modo diverso la storia relativa alla distruzione dello Stato palestinese e quello che è realmente accaduto nel ‘48. Dunque, per i giovani è urgente correggere la Storia, i cui libri dedicano ampio spazio alle tragedie del ‘900, specie alla Shoah, tralasciando la diaspora del popolo palestinese. Tuttavia, il titolo di questa giornata non è dedicato propriamente alla Palestina, ma piuttosto, cosi come si fa nel giorno della memoria, a dire “basta”, affinché non accada mai più , come purtroppo è successo alla Palestina, che un popolo debba subire un feroce genocidio.” […]