
Le quattro settimane che compongono il tempo liturgico dell’Avvento proiettano alcune immagini di “profeti” (Isaia, il Battista … ma anche l’Immacolata e Giuseppe) quali uomini e donne della profondità, per tutelare la “vita” e la storia della propria gente nel loro evolversi come espressiva ricchezza relazionale.
La matrice del profetismo è sempre una crisi socio-politica, morale, religiosa. I profeti irrompono sulla scena sociale reclamando il principio che la storia non è solo da narrare, ma c’è una storia da interpretare e quindi da vivere. Per cui la loro voce, che si alza soprattutto nei tempi e nei luoghi di violenza, è il grido della “carne ferita” che si eleva dal gran polverone prodotto da personalismi famelici alla ricerca costante di un nemico da abbattere. Certo, di fronte ai numerosi e deplorevoli silenzi, per le tante vittime di queste follie narcisistiche, il rendersi conto che non si è soli a volte è solo una tenue speranza.
Dialogare, invece di “litigare” con il passato come una sorta di “damnatio memoriae” da perseguire, può diventare la chiave per costruire nuovi orizzonti. Il profeta biblico in questi contesti non predice il futuro, ma, quale uomo dello spirito, vedendo al di là dell’opaco, dice una parola di consolazione per illuminare il suo “oggi”: diventa il costruttore del tempo attraverso la misericordia quale legge superiore alla giustizia, perché ogni conflitto nasce dall’ignoranza o dal deprezzamento delle “cose dell’altro” oltre che dalla mancanza di ascolto e dalla povertà personale che blocca il confronto. Solo una “ecclesia audiens” può essere una “ecclesia docens”, direbbe Karl Barth.
I profeti, quali terapeuti del deserto e patrimonio dell’umanità più che proprietà esclusiva delle singole religioni, raccogliendo le tante voci che gridano nel “deserto delle nostre città”, dove nessuno si prende cura di nessuno, fanno dell’invito all’interiorità la via sacra per ritrovare se stessi, superando la superficialità, attraverso la rivalutazione di un tempo per il silenzio e la riflessione: occorre raccogliersi riunificando le varie dimensioni della vita attorno ad un centro essenziale.
Non si tratta solo di gridare per dimostrare, ma, dopo aver gridato, ritrovare la serenità per passare dalla speranza delusa al deluso che torna a sperare attraverso la riappropriazione di una mistica: vero alveolo di ogni profezia e fondamento di ogni speranza.
La Bibbia ama vedere il profeta come una sentinella: “Sentinella, a che punto è la notte?” (Is 21,11). La risposta è enigmatica e deludente (Is 21,12): forse il profeta stesso non sa neppure oggi indicare quando verrà il mattino, ma ne attesta la sicura venuta.
Elia Ercolino
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