Prima parte

Dell’Assoluto, infatti, bisogna dire che è essenzialmente un risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità[1]. Scriveva così Hegel nella sua famosa Fenomenologia dello Spirito. Un testo che, seppur poco acquistato all’epoca, nel 1807, segnò un’epoca. Si sa, non tutto ciò che è complesso suscita gli applausi. Ma quel testo, sotterraneamente, segnò la storia. Ciò che ora intendo fare qui è una riflessione che da quella frase parte e da lì prende linfa. Cercherò di portare, in maniera divulgativa, quel pensiero alle massime conseguenze, attualizzandolo all’interno del nostro tempo.

Il periodo che stiamo vivendo non è per nulla facile. Non dobbiamo nasconderlo. Un virus ci ha sconvolto. Parlare di Assoluto è ormai fuori moda. Non lo trovi esplicitato, nel 2020, se non in conferenze complesse su Youtube, non lo racconti con Tik Tok, non ti ci fai insieme un selfie. Non lo spieghi nemmeno con facilità a scuola, specie ora che questa è fatta solo delle bidimensionalità di uno schermo. Fiumi di parole e di inchiostro già si sono profilati da mesi su un altro assoluto, raccontandoci la patologia, le caratteristiche, le dinamiche di una particella, il nostro nuovo Assoluto, infinitamente più piccola dei batteri, che sta mutando la nostra vita. Proprio per esplicitare che quel piccolo pezzo di materia sia un Assoluto sono nate discussioni assurde. Fra queste, addirittura, sono riapparsi i dubbi sul fatto che il virus sia, di per sé, qualcosa di amorfo senza una cellula in cui replicarsi. Lo si è definito quasi come un corpo, con un cuore che batte. Se si fa una semplice ricerca sui motori di ricerca, tipo Google, appariranno in corrispondenze alle parole virus e vivo 714 milioni di concordanze. Se si navigasse su alcuni siti specialistici o sui quotidiani leggereste espressioni quali  “virus vivo attenuato”, “il virus è nato in laboratorio o nelle foreste”, “Il vaccino contiene il virus vivo” e via discorrendo. E, ironia della sorte, il virus, vivo per il mondo, per qualcuno morirà all’arrivo del vaccino. Un paradosso filosofico, metafisico quasi. Come se tutta la natura avesse in ogni suo segmento una dimensione di vita autonoma. Leibniz strabuzzerebbe gli occhi nei nostri laboratori universitari e si sentirebbe chiamato in causa. Indicherebbe come il virus sia fatto di monadi spirituali, per avvalorare il concetto di vita in un piccolo pezzo di Rna o Dna avvolto da una capsula di grasso. Detto che il virus non è un feto (che si esprime in una evoluzione con gameti femminili e maschili. Il virus invece evolve specificandosi a contatto con cellule e sistemi immunitari) la domanda che ci si può porre è: ma cosa morirà? La materia? Si ripropone il dramma nato nella cultura moderna dalla Rivoluzione Scientifica, in quella lotta filosofica affascinante e complessa fra mente e corpo. Immaginate, parafrasando i riduzionismi di hardware e software, applicati al virus. È un corpo su cui si installano mutamenti climatici e ambientali, sconvolgimenti nelle profondità delle strutture proteiche e zuccherine? O il virus è un perfetto esempio di software che, novello programma, si installa sulle cellule o si inserisce in un corpo senza l’antivirus adatto e fa saltare il sistema? Nel caso dovremmo chiederci quale sia il modo per fare il backup del nostro essere viventi, dove poterlo salvare. Il dibattito attuale sulla neuroetica, cioè sull’etica della nuova era di scoperte sul cervello, non può non interessarsi al Sars Cov-2. Se non altro per le strade paradossali che il pensiero umano sta ora partorendo. Se il virus è vivo penserà forse alla propria esistenza? È un ente come tanti? Il concetto di vita implica il movimento e il moto potrebbe essere cosciente. Quindi, se cosciente, il virus ha una coscienza? Pensa? Sarebbe un assurdo, ma ormai la cifra dei tg è in un virus che sarà vivo o morto. Sparato come in un film western.

Presumo che una grande maggioranza di noi non si sia accorta in questi mesi del paradosso in cui la virologia si era immersa e che sembrava superato. Se un virus sia o meno intelligente, sia o meno una sorta di macchina da guerra pronta a invadere terreni (i nostri polmoni in questo caso) altrui, non è questione di poco conto. Se pezzi di Dna e Rna possano evolversi in qualcosa di diverso da sé stessi e magari pensanti, agenti con fini e obiettivi, seppur istintuali, è un dipingere di Assoluto un qualcosa che sa tanto di particolare.  Il che è abbastanza strano, in una dimensione quale quella odierna, tecnologizzata eppure incapace a interessarsi di scienza se non attraverso canali specifici. Siamo ancora ai dibattiti da Seicento, ancorati a discussioni che si potevano leggere nella Repubblica delle lettere dei filosofi e artisti di quel periodo. Non è semplice cercare discussioni di valore scientifico al di là delle riviste specializzate o di PubMed. Non sono mancati i tentativi anche nei talk televisivi e nei dibattiti della strada di definire il Sars Cov-2 come un essere vivente, pensante, capace quasi di autodisciplina, dovendo e potendo scegliere accuratamente le vittime da infettare. Anche in alcune discussioni popolari l’espressione “non capisco come ad alcuni colpisca e ad altri no” segue una ricerca di razionalità, magari esercitata dalla pressione indotta dalla paura dell’ignoto o da un complottismo della natura cattiva e matrigna. Qualche giorno fa leggevo, su alcuni profili Facebook, in risposta alle chiusure pensate in serata, che “il virus non esce alle 22”. Anche nello scherzo e ironia si comprende una sorta di fissità, una fallacia, passatemela, virale nei discorsi di oggi. Che ripropongono, dopo secoli, dibattiti che sembravano acquietati. Se ci fosse Hegel, odiernamente, avrebbe bello e pronto uno dei suoi squisiti pensieri sul finito che si inabissa nell’infinito, sull’infinito che si prospetta nel finito, su una ragione che si esprime in ogni cosa. Forse il citato Leibniz oggi scriverebbe che si vede “che c’è un mondo di creature, di esseri viventi e di animali, di entelechie e di anime, anche nella più piccola porzione di materia[2]. Sono o non sono pensieri attualissimi mentre si parla del virus?

Riflettevamo che, nonostante la mole immensa di informazioni manca qualcosa da sapere su questa pandemia. Mi spiego subito. Quanto stiamo vivendo non è nulla di più né di meno delle antiche paure date da catastrofi e malattie. Sotto il mantello nero della morte ogni volta, nella storia, l’uomo si è rialzato. Ha stracciato il mantello e ha costruito civiltà che hanno segnato decenni. Immaginate una Versailles durante la peste del 1347-1348. Non è che non potessero costruirla i bravi medievali, ma ogni cosa richiede un tempo specifico e in quel tempo deve esprimersi e definirsi. Se ogni tempo ha una sua ragione interna ciò vuol dire, forse, che il virus è la razionalità attesa? Non guardatemi con l’occhio indagatorio. Può ben darsi che sia così. Lo so bene che il virus non è una res cogitans, ma pensate a come stia divenendo la cifra del nostro periodo. Nella vulgata di ogni giorno ho già mostrato come il virus abbia una naturale capacità di scelta. Non dettata da motivazioni genetiche, ambientali ma quasi interne a una sua razionalità. Sempre seguendo Leibniz “non c’è nulla di incolto, di sterile, di morto nell’universo. E c’è caos e confusione soltanto in apparenza; pressappoco come se, guardando da una certa distanza in uno stagno, vi si scorgesse un movimento confuso e, per così dire, un brulichio di pesci, senza distinguere i pesci stessi[3]. Peccato che forse quei pesci dall’acqua sono usciti e ci hanno travolti. Nel continuo rimescolarsi del multa defluere del mondo, emerge la metafisica del virus. Una metafisica che ci suggerisce il come l’uomo sia stato scalzato dalla metafisica e sia stato inserito al suo posto un virus. La posta in gioco filosofica dentro questo cammino non è incapace di sorprese e conclusioni inaspettate. Ma su questo torneremo.

[1]G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, a cura di Vincenzo Cicero, Rusconi, 2001, p.69

[2]G.W.Leibniz, Monadologia, trad. di Salvatore Cariati, Bompiani, 2001, p. 89.

[3]Ibidem, p. 91.


Fontehttps://pixabay.com/it/illustrations/albero-di-natale-natale-buon-natale-5757874/
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Antonio Cecere (1980), docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Tito Livio di Martina Franca. Laurea in Filosofia presso l’Università degli studi di Bari nel 2004, con relatore il prof. Francesco Fistetti e una tesi in Storia della filosofia contemporanea su Karol Wojtyla. Appassionato di Bioetica, ha conseguito il Master in Bioetica e Consulenza filosofica a Bari e il Master in Bioetica per le sperimentazioni cliniche e i Comitati etici presso il Politecnico delle Marche oltre a vari perfezionamenti di ambito pedagogico e didattico. Impegnato nella Cisl Scuola, è in Azione Cattolica per cui attualmente coordina il Mlac di Taranto come incaricato. Socio Uciim, insegna filosofia anche agli adulti presso l’Università popolare Agorà di Martina Franca. Fra le sue passioni lo studio della storia, il calcio e la musica rock. In passato, oltre che clown terapeuta presso l'asssociazione Mister Sorriso di Taranto, è stato anche conduttore di programmi radiofonici. Presso il Liceo Tito Livio, da qualche anno, coordina il Progetto Percorsi di Bioetica per avvicinare, attraverso modalità didattiche innovative e con la collaborazione di esperti esterni, gli allievi alla cittadinanza bioetica. Ideatore di vari caffè filosofici nella provincia di Taranto e in Valle d'Itria.