La magia del Natale

La casa della nonna era come dire un Colosseo. Io credo che i venti tutti si siano accordati per gareggiare nelle loro molteplici direzioni e si sfidassero a chi faceva sbattere più porte, a chi faceva volare più tende che manco a dirlo si chiudevano tra le prime. Tramontana o maestrale, un pezzo di stoffa col merletto fuori ed uno dentro. E le voci poi che accompagnavano i venti, le grida tra il cortile tipico della domus romana dove pioveva proprio  e le stanze interne piene di pedate  e l’androne  grande quasi quanto la casa stessa. Su tutto un tocco appiccicaticcio di  zucchero e vin cotto. Una babele. Il Natale cominciava così, con un corri corri di gente  e pazienza che era dicembre. Sciarpe, giubbini, termosifoni? Siamo in Puglia negli anni settanta, non diciamo fesserie.

Tutti avevano un ruolo, perché erano i tempi delle donne in gonna e grembiule in cucina e degli uomini a far spesa. I bambini facevano modestamente i bambini. Si apriva le danze con un cerimoniale tramandato. Oggi mi chiedo perché o forse me lo chiedevo anche allora ma senza consapevolezza. Solo una strana sensazione di sconcerto ed inaudito. Pensavo che era per il Natale. Invece era per l’anguilla.

Un esponente del sesso forte era andato all’alba in piazza a scegliere con cura la bestia da sacrificare, l’aveva con inganno portata in casa dove le sacerdotesse erano in attesa di perpetrare il rito. La vestale in persona era la nonna che con quell’aria da nobildonna col collo lungo degno del miglior Modigliani e le dita affusolate da pianista pareva in catarsi. Labbra strette e non parlava. Le nuore, giovani adepte, sghignazzavano come studentesse nervose e se potevano con scuse varie si allontanavano. Il bambino è caduto, vado io, come se a qualcuno importasse. In quel labirinto che tremava  al passaggio continuo di un treno, non farsi male era il vero miracolo.

Il rito cominciava. Mani forti tenevano la poverina e la nonna con un coltellaccio che nel proseguo dell’anno spariva e gesto secco da boia la decapitava. Così, in un attimo.  Altro che trauma infantile. Il resto del corpo veniva tagliato in varie parti e posto tutto in una pentola con acqua e aceto. La puzza del pesce e poi del  sangue misto all’acre dell’aceto invadeva la casa. O era zolfo? Ma c’è un ultimo particolare sconcertante. Nel mentre si sezionava l’anguilla la bestiola senza testa continuava a muoversi disperata ed inevitabilmente l’ultimo pezzo saltava dal tavolo delle torture e si insinuava furtiva: la coda.

Un anno che si era in ritardo giunsi in cucina  che grazie a Dio il tutto si era già concluso ma trovai i cuginetti più scalmanati del solito. La coda era saltata giù e vi giuro non si trovava. La cercavano ovunque eccitati come se a stanarla si vincesse non so cosa. Sdraiati sotto i mobili, ad alzare le coperte del letto che di suo era già altissimo, ad aprire pensili. La nonna aveva  pallore in viso e balbettava , il nonno  era sceso in terra dalla scala a pioli che nel cortile lo portava al suo giardino pensile dove svernava  ed elegante come sempre guardava costernato. Venne finanche la zia delle cose importanti che abitava in fondo alla strada ed era fatto serio. Niente, la coda pareva dissolta nel nulla.

Ora capite bene che possiamo perderci in mille congetture sul Natale. Su quanto ci sia di consumista e di religioso e sull’anno in corso. Ma io resto sempre con la mia domanda e chiedo lumi: che fine fece la coda dell’anguilla in quel natale da bimba? e noi come potemmo poi metterci a cena e mangiare allegri con i vini che il nonno tirava fuori dal cappello?  qualcuno la trovò e non lo disse? lei ci guardava da dove?  era fuggita nel mondo delle code e danzava felice?  La nonna adesso cantava in falsetto, il nonno finalmente rideva. I mobili esibivano cassetti aperti stracolmi di dolci. Il mistero rimaneva.

Se il tempo cura le ferite, la pietasresta, provo a non dimenticare nessuno.

Che giunga fin nelle paludi di Comacchio il mio augurio. Anno sabbatico per tutti quindi.

Mie care, godetevi le vostre amate code.