«Com’esser puote ch’un ben, distributo 
in più posseditor, faccia più ricchi 
di sé, che se da pochi è posseduto?»

(Purgatorio XV, vv.61-63)

Ha il sapore di un interludio narrativo il canto quindicesimo del Purgatorio. Dante lo ripartisce in tre sezioni rispettivamente dedicate all’apparizione dell’angelo della misericordia, alla spiegazione di Virgilio circa le parole di Guido del Duca e, infine, a esempi di mansuetudine, due biblici – Maria al tempio e il martirio di san Sebastiano – e uno classico, del tiranno Pisistrato.

Dante è accecato dalla luce dell’angelo e Virgilio gli spiega che ciò che ora gli riesce difficile, ben presto gli verrà connaturale, tanto che gli procurerà gioia fissare il fulgore angelico: è già questa una indicazione che anticipa la risposta al dubbio che l’allievo sottopone al maestro e che occupa la sezione centrale.

Guido del Duca aveva infatti fustigato il costume di quanti pongono «‘l core là ‘v’è mestier di consorte divieto», ovvero che desiderano beni che non si possono condividere (Purgatorio XIV, 86-87).

Una tale affermazione mette in crisi il discepolo che chieda alla sua guida come sia possibile che un bene, distribuito tra più possessori, possa arricchire quanto più condiviso. Nell’ordine terreno accade esattamente il contrario: più un bene è diviso, meno ne rimane per ciascuno.

E Virgilio chiarisce: ciò che vale nell’ordine mondano è rovesciato in quello celeste, laddove l’ardore di carità «più si stende» (v.72), più si moltiplica.

A me, cresciuto a “pane e don Tonino”, vengono subito in mente le parole dell’amato e ammirato (non da tutti) vescovo di Molfetta. A proposito del prodigio della moltiplicazione dei pani, scriveva: «Quella fu una divisione, non fu una moltiplicazione. Prese cinque pani e li divise. Significa che il pane va diviso, non moltiplicato. Il problema grosso, oggi, dell’umanità è la divisione, non la moltiplicazione. Dividere le ricchezze in modo che ci siano per tutti i coperti sulla tavola».

Insomma, con logica del paradosso, don Tonino suggeriva che è la condivisione che sazia, non la moltiplicazione: moltiplicare le ricchezze non aggiunge vita alla vita. Nessuno di noi può aggiungere una sola ora alla propria esistenza, insegnava Colui che la moltiplicazione dei pani l’ha inventata. Piuttosto che ingozzarne una sola, un pane condiviso nutre due e più persone e soprattutto unisce i cuori.

Mi fermo qui, nei miei pensieri storti. Che naturalmente non valgono per le persone di buon senso. Quelle sagge. Quelle che avanzano e sopravanzano. Quelle che sanno stare al mondo: in questo mondo. Appunto.

Sarà un caso che il quindicesimo del Purgatorio si chiuda con un fumo «come la notte oscuro»? Non lo so. Sta di fatto che Dante lo descrive come inevitabile e tale che «ne tolse li occhi e l’aere puro» (vv.142-145). Stiamo entrando nella terza Cornice, quella degli iracondi: se gli invidiosi avevano le palpebre ricucite con fil di ferro, questi sono accecati dalla propria stessa furia.

Budda: «Migliaia di candele possono venire accese da una singola candela, e la vita della candela non sarà abbreviata».

Un proverbio cinese: «Non è la ricchezza che manca nel mondo, è la condivisione».

Sigmund Freud: «Poter condividere è poesia nella prosa della vita».


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...