
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli»
(dal Vangelo secondo Matteo)
Ho perso mio zio in questi giorni. Un evento che tocca tutti, prima o poi.
Chi di noi non piange un padre, una madre, uno zio, un nonno? A tanti toccano lutti ben più gravi che non oso nemmeno citare…
Dunque, che io abbia perso il fratello di mio padre non è, in sé, una notizia.
Ma io lo voglio lo stesso ricordare.
Perché mio zio appartiene alla schiera dei tanti che attraversano la scena di questo mondo senza apparentemente far notizia.
Non ha avuto la possibilità di studiare, mio zio. Non ha fatto carriera. Non ha assunto cariche elettive. Non è stato in alcun consiglio di amministrazione. Ha fatto mille lavori, e tutti con sacrificio.
Ha avuto una moglie, un figlio, una nuora, dei nipoti, una famiglia numerosa, tantissimi amici. E tutti, li ha amati.
Ci ha amati.
Non ha risparmiato i suoi cinque pani e due pesci. Li ha moltiplicati. Condividendoli.
Ero stato a trovarlo tre giorni prima che morisse.
Quel giorno, aveva mandato via l’ambulanza che lo avrebbe trasportato in ospedale per il ricovero: «Non posso venire – era stata la sua risposta – ho appuntamento con mio nipote che mi ha promesso che oggi verrà».
In realtà, era già molto grave. Ma fortunatamente ho potuto mantenere la promessa.
L’ho potuto abbracciare per l’ultima volta. Mentre gli davo l’ultimo bacio, ho potuto sussurrargli all’orecchio che non ho dimenticato tutti i doni che mi ha fatto sin da quando ero piccolo. Tutti i doni che ha continuato a farmi fino a quell’ultimo saluto. A suo figlio, mio cugino: «Hai dato quelle cose a Paolo?».
Quelle “cose” sono i fichi secchi, passati al forno, con la mandorla dentro: sapeva che ne sono ghiotto, sapeva che sono gli unici solidi che riesco ad assumere per alimentarmi durante una maratona.
Potrò nutrirmene per ancora tanti chilometri. Potrò ancora dedicargli numerose gare.
Potrò ricordarlo per quello che era: un uomo semplice, un cuore generoso, un uomo buono che, solo per chi non l’ha conosciuto, non farà notizia.
Ma per tutti noi che lo abbiamo amato e ne siamo stati amati altroché se fa notizia: forse è questo il senso, semplice ed essenziale, di tanti uomini come mio zio. Che magari non saranno cantati nel “De’ Sepolcri” di Ugo Foscolo, ma che fanno la differenza in questo mondo.
Mio zio si chiamava Leonardo e per tutti era Narduccio.
A Carovigno lo chiamavano: “Lu Stunesi”.
Massimo Recalcati: «Tutto è morto, ma resta ancora vivo in me. È morto e vivo insieme. E sono grato a tutto…».
Herman Hesse: «Forse anche l’ora della morte ci farà partire giovani verso nuovi spazi, il richiamo della vita per noi non può mai finire. Allora, cuore, congedati e stai bene!».
Cecilia Sala: «E tu sei mai riuscita un minuto a ridere? Sì, due volte. La prima volta che ho visto il cielo e poi quando c’era un uccellino che faceva un verso buffo».
Grazie Paolo per questo caffè che fa cominciare bene la giornata
Grazie a te, Lorenzo, che sei sempre squisito nelle tue attenzioni.