Se camminando o pedalando per la città vi capita di vedere un bimbo con una foglia in mano…
Il piccolo era a naso insù davanti alla chiesa a mezzogiorno nella calura della domenica di agosto. Niente spiaggia, niente mare, nessun amico di giochi, niente di niente. Sono un corpicino trasparente, due piedini sporchi e gli occhi in alto. Mi sono avvicinata per curiosità, volevo capire cosa vedesse. Le campane battevano l’ora, il frastuono era immenso. Eppure rimaneva fermo, rapito. Non stava sentendo le campane, le stava semplicemente vedendo. Ho guadagnato la sua posizione, mi sono inginocchiata e ho guardato con lui. Due grandi campane, una più grande dell’altra, con due degni batacchi che si alternavano e facevano festa. Come una coppia che danza, come due mani che si accarezzano, come due nuvole che corrono. Hanno smesso. Il piccolo è corso a prendere una foglia e me l’ha donata. Mai avuto una foglia in dono. Poi un’altra. Le ha unite mostrandomi che divenivano ali e farfalle, anche ventaglio se avevo caldo. Le ha messe sulla mia mano perché si vedessero le trasparenze a contrasto: vene e linfa, sangue e clorofilla.
Il bimbo non ha niente. È povero, emarginato, ultimo degli ultimi. Non ci vuole fantasia per sapere come vive. Quando è andato via non ha salutato, si è defilato semplicemente. Non riesco a non pensare a lui. Al suo bacio posato lieve sulla mia spalla perché non lo vedessi. Ai suoi occhi dolcissimi che guardano prima di ascoltare. Quando il niente può essere il tutto.
Agosto è un mese lungo e a volte indigesto. Se camminando o pedalando per la città vi capita di vedere un bimbo con una foglia in mano, sappiate che è lui. Se guarda le campane, se da un bacio lieve e corre via, è certamente lui.
Il piccolo principe dei poveri, nella calura di una terra dove la bella stagione non è bella per tutti. Dove la sporcizia del corpo fa da contrappasso alla trasparenza angelica della purezza. Dove il “dove andiamo in vacanza” è un concetto da sdoganare. Dove gli ultimi spero sempre che arriveranno primi.