C’era una volta uno scrittore che voleva diventare Gianni Rodari.

Ne aveva letti a miliardi di libri da quando, poco più che decenne, aveva cominciato a portare l’apparecchio ai denti. Quelle lunghe e interminabili ore passate nella sala d’attesa del dentista, richiedevano un diversivo, e così era andata a finire che si era appassionato alla lettura. Ne aveva divorati a centinaia di libri in quegli anni, tanto che continuò a leggere molto anche dopo, quando l’apparecchio per i denti era ormai solo un vecchio, brutto, ricordo.

Tanti ne aveva letti, neanche lui sapeva dirne quanti, ma nessuno gli piaceva come Gianni Rodari. C’era in quel suo modo semplice e schietto, eppure magico, di raccontare storie qualcosa che in nessun altro era riuscito a trovare.

Arrivò, dunque, il giorno in cui il nostro scrittore si stancò di essere un semplice lettore e decise che sarebbe diventato uno scrittore. Ma non uno qualsiasi, lui voleva diventare Gianni Rodari.

Si sedeva alla sua bella scrivania di mogano, tirava fuori la sua macchina da scrivere rossa e nera, inseriva un foglio pulitissimo nell’apposita fessura e cominciava a battere. All’inizio scriveva lettere a caso, poi cominciava a scrivere parole a caso e infine provava a scrivere frasi a caso. Era il suo metodo, diceva che lo aiutava a combattere la sindrome da foglio bianco.

Quando aveva finito provava a rileggere a voce alta la storia che aveva scritto ma non era mai soddisfatto di quello che scriveva, gli sembravano tutte storie banali, forse persino un pochino copiate. Andava a finire che ogni volta buttava via tutto quello che aveva appena scritto. Quando aveva deciso che sarebbe diventato Gianni Rodari era certo che non sarebbe stato affatto semplice riuscirci, ma non aveva immaginato di fare così tanta fatica. Si innervosì sempre di più, e più si innervosiva, più brutte erano le storie che scriveva.

Una mattina era al bar a bere un caffè. Per caso aprì il giornale e lesse che a pagina 21 c’era una lunga intervista proprio a Gianni Rodari che presentava un suo nuovo libro. Pagò il caffè ed uscì di corsa dal bar senza neanche farsi dare il resto. Si recò all’edicola più vicina, comprò il giornale e corse a casa a leggere l’intervista. Si sedette alla scrivania di mogano, tolse la macchina da scrivere, aprì il giornale direttamente alla pagina 21 e cominciò a leggere. Leggeva e sottolineava con una matita leggera alcune frasi che, ne era certo, gli avrebbero dato una mano a diventare Gianni Rodari. In particolare una cosa lo colpì: in un passo Gianni Rodari ammetteva che quando non era del tutto sicuro della storia che aveva appena scritto era solito andare in qualche scuola elementare a leggere la storia ai bambini. Più piccoli erano meglio era. Diceva che i bambini ne sanno sempre più di chiunque altro.

Fu così che il nostro scrittore che voleva diventare Gianni Rodari decise che avrebbe letto le prossime storie alla sua nipotina Carla. Chiuse il giornale, ritirò fuori la macchina da scrivere, inserì un foglio pulito e cominciò a ticchettare con rinnovato vigore ed entusiasmo sui tasti, seguendo sempre la sua solita tecnica. Alla fine rilesse la storia a voce alta e già gli sembrava più bella delle altre precedenti. Sentiva già che il consiglio che Gianni Rodari gli aveva dato stava dando i suoi frutti.

Prese i fogli, li arrotolò e scappò a casa di sua sorella. Nella fretta dimenticò persino di mettersi il cappotto ma non se ne accorse nemmeno.

Arrivò tutto trafelato a casa di sua sorella, suonò il campanello e lei era tutta sorpresa di vederlo: le visite tra loro non erano all’ordine del giorno. Si preoccupò persino, temendo fosse successo qualcosa di grave ai loro ormai vecchi genitori. Lui la tranquillizzò, i due stavano bene, e lui voleva soltanto parlare con Carla, doveva farle assolutamente leggere qualcosa.

Carla era in camera sua a fare i compiti, lo scrittore che voleva diventare Gianni Rodari bussò, lei lo fece entrare e lui gli disse che voleva leggerle qualcosa, che voleva sapere cosa ne pensava in proposito, che il suo giudizio era per lui di vitale importanza.

La fece sedere alla seggiola e cominciò a leggere con voce alta e sonante. Di tanto in tanto si fermava e provava a sbirciare la nipotina, per cercare di capire qualcosa dal suo volto, ma nulla traspariva. Quando finì poggiò i fogli sul letto, incrociò le mani quasi a pregare che il responso fosse favorevole e le chiese se la storia le era piaciuta.

La bambina fu sincera, come solo i bambini sanno essere. Gli disse che la storia era brutta. Intanto perché il protagonista era un maschio e poi un’automobile che volasse non s’era mai vista. No, no, la storia era senz’altro troppo brutta. Lo scrittore che voleva diventare Gianni Rodari ci rimase male, ma in cuor suo sapeva che in realtà la storia non era un granché. Ringraziò la nipotina Carla, si alzò e se ne andò senza quasi nemmeno salutare sua sorella. Tornò a casa e riprese a scrivere, ma stavolta non c’erano né automobili volanti né maschietti.

Andò avanti così per mesi a scrivere storie e a leggerle alla nipotina Carla, lei ogni volta gli diceva cosa non le piaceva e lui prendeva appunti con la matita. Non si dava per vinto lo scrittore che voleva diventare Gianni Rodari. Aveva accumulato ormai almeno un centinaio di storie, già il fatto di non averle ancora buttate era per lui una gran conquista ma non era abbastanza per per diventare Gianni Rodari.

Una notte che non riusciva a dormire, gira che ti rigira, pensa che ti ripensa a come fare per diventare Gianni Rodari decise che non c’era altro da fare: aveva bisogno di incontrarlo. Incontrare Gianni Rodari in persona. Doveva assolutamente parlargli per riuscire a capire come avesse fatto lui a diventare Gianni Rodari, era così semplice! Come mai non ci aveva pensato prima?

I giorni successivi furono tutta una ricerca. Il suo unico scopo era riuscire a capire dove abitava Gianni Rodari, non era affatto semplice come potrebbe sembrare riuscirci. Tant’è che non ci riuscì. Venne a sapere, tuttavia, che il ventinove di quel mese Gianni Rodari in persona sarebbe andato alla scuola elementare “Alessandro Manzoni” di Bussolengo a parlare ad una classe di quarta elementare. A “parlare” diceva sul giornale, ma lui sapeva bene che andava a leggere loro qualche sua storia nuova di cui non era convinto.

La mattina del ventinove dovette prendere tre treni diversi per arrivare a Bussolengo. Quando arrivò se ne andava in giro a chiedere a chiunque dove fosse la scuola elementare “Alessandro Manzoni” tanto che qualcuno, avendo letto da qualche parte che proprio quella mattina in paese doveva arrivare Gianni Rodari, l’aveva persino scambiato per lui: non si vedono così spesso forestieri a Bussolengo. Lui ne fu emozionatissimo, sentiva che la sua idea di parlare con Gianni Rodari stava dando già i suoi frutti per il solo fatto di averla pensata.

Alla fine trovò la scuola ma s’era fatto un po’ tardi e Gianni Rodari doveva già essere entrato. Lo scrittore che voleva diventare Gianni Rodari decise che l’avrebbe aspettato all’uscita. Si piantò davanti al cancello e non si mosse per parecchie ore. Capì che il momento della campanella stava per arrivare dal festoso vociare delle mamme che venivano a riprendere i propri bambini. La campanella suonò ed uscirono in fila per due i bambini di tutte le classi e alla fine, quando già tutti erano andati via, ecco spuntare Gianni Rodari con una bella borsa di pelle marrone in mano e la cravatta rossa, tutto sorridente.

Lo scrittore che voleva diventare Gianni Rodari lo riconobbe subito ma pensò che era molto più bello di persona rispetto a quella foto che aveva appeso in casa, accanto allo specchio. Lo fermò, gli sorrise e gli chiese se poteva offrirgli un caffè. Gli disse che aveva bisogno di parlargli, di una questione di vitale importanza. Gianni Rodari ne fu quasi felice perché mai nessuno lo riconosceva per strada, inoltre era molto incuriosito da questo strano personaggio e inoltre, ammettiamolo, adorava il caffè, per cui accettò di buon grado l’offerta.

Si sedettero ai tavolini di un bar, ordinarono un caffè e parlarono per ore. A dir il vero parlava quasi solo lo scrittore che voleva diventare Gianni Rodari. Gli raccontò tutta la sua storia: le letture dal dentista, la sua tecnica per combattere la sindrome da foglio bianco, i consigli che gli dava la nipotina Carla, tutto gli disse. Tutte cose che noi già sappiamo. Gianni Rodari si limitava ad annuire ma rideva moltissimo. Lo lasciò sfogare completamente, e quando quello ebbe finito gli confidò che lui, invece, voleva essere Hans Christian Andersen, e non ci era ancora riuscito. Lo scrittore che voleva diventare Gianni Rodari allora comprese tutto. Lo ringraziò, pagò il caffè e se ne andò tutto soddisfatto. Qualcuno a Bussolengo giurava di aver visto uno straniero girare per il paese tutto contento e continuare a ripetere: “Quanto è umile Gianni Rodari, quanto è umile Gianni Rodari” all’infinito.

 

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