
Carissime studentesse e carissimi studenti,
giunti quasi al termine del vostro percorso di istruzione superiore, vorrei condividere con voi alcuni pensieri che in questi giorni albergano dentro di me e che deciso di scrivere in questa lettera.
Innanzitutto, volevo ringraziarvi per come avete vissuto quest’ultimo periodo della vostra vita scolastica. Volevo ringraziarvi per il vostro coraggio, per nulla scontato, perché in questo tempo pandemico con grande responsabilità, impegno e anche molta fatica siete riusciti a vivere la scuola anche fuori dalla scuola.
Non è stato facile, è vero. Siete stanchi, certo.
Ma non potete mollare proprio ora, all’ultimo miglio. Proprio ora avete la possibilità di dimostrare quello che in questi cinque anni avete vissuto, appresso, cambiato, sudato, amato.
Sicuramente questo clima “strano” in cui siamo immersi vi farà vivere un esame di maturità sui generis, ma sono certo che non mancheranno la sana ansia e la speranza che hanno contraddistinto tutti quelli che prima di voi l’hanno vissuto.
Con questa lettera vorrei anche cogliere l’occasione per augurarvi il meglio per la vostra vita e per il vostro percorso universitario, che vi accingerete a vivere tra breve.
Vi rinnovo, poi, l’invito a ricercare sempre, ad essere curiosi, ad alimentare il fuoco che vi portate dentro e che a volte – ahimè – gli adulti vorrebbero spegnere.
Il sapere è ricerca appassionata della verità per prendere le grandi decisioni della vita, per saper discernere ciò che è bene e ciò che male e per comprendere ciò che è meglio fare in determinate situazioni che la vita vi porrà davanti.
Non fate però del vostro sapere un sistema chiuso, ma uno sguardo sempre aperto verso il nuovo con fiducia. Siate consapevoli che ogni sapere è sempre mancante di qualcosa; è sempre un sapere – per dirla con lo psicanalista italiano Massimo Recalcati – “bucato”, perché per quanto l’uomo si sforzi non può giungere con la sola ragione a sapere tutto il sapere.
Ma ricercare non è tempo perso. Un mio professore diceva sempre: “Lo studio in ogni modo ripaga sempre”. Ed è proprio così.
Vi auguro, infine, di vivere sempre nella logica del “magis”, del di più e del meglio, per ridurre al minimo il male nelle circostanze ambigue e difficili dell’esistenza.
Spero che l’esperienza scolastica liceale non vi abbia trasmesso solo delle nozioni, ma fatto venire fuori i talenti dormienti che tenete dentro di voi.
Inoltre, coltivate le vostre passioni, perché sono queste il motore della vita che non si arrende. Fate quello che vi piace e solo così vi piacerà essere quello che fate.
Passione è una parola bellissima che contiene in sé un duplice significato, l’uno antitetico all’altro.
Passione è prima di tutto amare ed essere attratti da quello che si fa o che si vorrebbe fare. Dall’altro canto, passio richiama invece la sofferenza e la fatica.
Accanto alla gioia delle proprie passioni si staglia anche la possibilità di sostare accanto alle proprie macerie, le proprie fragilità.
Questo lemma, pertanto, nella sua paradossalità vorrebbe insegnarci che non si può amare senza soffrire e non si può soffrire senza non aver amato.
Un grande maestro in questo senso è stato Gesù di Nazareth.
La sua scuola dovrebbe far breccia nella didattica delle nostre scuole.
Mentre scrivo a voi, penso anche a noi insegnanti e alla nostra missione e professione, secondo me ben spiegata in una pericope evangelica conosciuta sotto il nome del racconto dei discepoli di Emmaus.
C’è una scena che mi ha sempre colpito e che esprime molto bene il compito di noi docenti ora, in questo momento del vostro percorso di vita.
Questo episodio racconta di due discepoli che, subito dopo la morte di Gesù, camminano con il volto triste per una strada distante circa undici chilometri da Gerusalemme.
Mentre camminano, si avvicina un uomo – l’evangelista Luca ci svela che era Gesù in persona -, il quale chiede ai due come mai fossero così tristi – letteralmente qualche commentatore direbbe “frantumati” – e lo Sconosciuto risponde “spiegando loro tutto ciò che nelle Scritture si riferiva a lui”.
A un certo punto, l’evangelista Luca aggiunge: “quando furono vicini al villaggio verso cui erano diretti, [Gesù] fece come se dovesse andare più lontano”.
Bene ragazze e ragazzi… questo, se volete, è il compito di noi insegnanti che abbiamo cercato di mettere in pratica in questi cinque anni: fare come se doveste andare più lontano. La cultura è fare passi in più, è continuare a cercare anche una volta trovato.
Noi insegnanti, con le nostre discipline, ci siamo impegnati a fare questo, affinché d’ora in avanti “se qualcuno dovesse costringervi a fare un miglio, voi possiate farne anche due”.
Noi insegnanti abbiamo cercato di aiutarvi a guardare più lontano, ma ora è giunto il momento in cui noi dobbiamo fermarci. Adesso è giunto il tempo per voi di camminare soli. Vi abbiamo guardato le spalle e abbiamo cercato con tutte le nostre forze di non farvi sbranare dai lupi dell’ignoranza e dell’errore che si aggirano di notte. Ma ora tocca a voi proseguire il cammino con in mano la lanterna della cultura. Noi – come in una staffetta – ve la passiamo.
E se qualcuno di voi – un domani – dovesse tornare indietro a ringraziarci, allora non sarà stato vano per noi aver faticato tanto.
Auguri! Ad maiora semper!
P.S.: Portatevi dentro che non siete il voto che porterete a casa, ma il volto che vi portate dentro.
Bellissimo testo! Complimenti a Nicola Montereale