Viste con l’ottica dell’esperienza della complessità
Ci sono figure del recente passato che, coll’esempio e coraggio come Don Lorenzo Milani e col pagare con la vita nel caso di Aldo Moro e del giudice Rosario Livatino, ci hanno lasciato delle eredità caratterizzate da una coerenza non comune tra vite vissute e la visione del mondo che le guidava; com’è noto, sono state oggetto di interpretazioni spesso riduttive in quanto non adeguatamente comprese anche per la capacità di leggere il loro tempo al di là dei quadri concettuali esistenti e di offrire al mondo di provenienza, quello cattolico, una visione aperta e processuale nel tentativo di interpretare i segni dei tempi e di darne il dovuto senso. Nello stesso tempo erano soprattutto tese all’interno delle istituzioni in cui operavano ad un cambiamento qualitativo di fondo ritenuto necessario e basato sui principi costituzionali e su uno spirito comunitario dove centrale è l’idea di persona vista nella sua integralità grazie alla piena metabolizzazione del personalismo di Emmanuel Mounier. Se rilette alla luce ermeneutica del pensiero complesso dove pensiero e azione sono strettamente intrecciati nel far meglio capire la piena dimensione antropologica dovuta alla capacità di cogliere relazioni ed emergenze derivate da interazioni tra punti di vista e pratiche di vita che possono sembrare non conciliabili, tali figure sono in grado ancora di illuminare l’oggi; e con il loro esempio ci indicano delle piste percorribili per far fronte ai riduzionismi sempre in agguato e per individuare e stanare quello che Mauro Ceruti ha chiamato ‘il paradigma della semplificazione’ con le sue logiche lineari causa-effetto, non più in grado di fare i conti con la sempre più crescente complessità degli eventi umani e naturali.
Si è distinto in questi ultimi anni il Centro di Cultura ‘Lazzati’ di Taranto fondato e diretto dall’On. Domenico Maria Amalfitano che, insieme ad altri all’interno di un progetto che trova le sue radici nel personalismo di Mounier e nelle indicazioni del Concilio Vaticano II, ha imperniato il suo percorso sui principi del pensiero complesso col farne una base concettuale-operativa per rileggere la figura di Aldo Moro, che nella città ionica si è formato durante gli anni giovanili; e questo nello stesso tempo per avviare un pensiero-azione sullo sviluppo sostenibile del territorio con una serie di iniziative tese in senso comunitario a ‘svegliarlo’, nel senso di un ultimo scritto di Edgar Morin (Come ‘svegliarci’ nel fare nostri ‘i miei filosofi’ di Edgar Morin, 29 dicembre 2022), per renderlo soggetto attivo e primario nelle diverse transizioni in corso da affrontare con dei progetti ad ampio raggio. Ma sono state prima la pur breve frequentazione in vita nelle aule parlamentari e poi la lunga metabolizzazione del pensiero di Moro, visto nella sue diverse articolazioni di testimonianza di cristiano, uomo politico ed insieme teorico del diritto, che ha permesso di vedere ad Amalfitano ante litteram nel suo percorso una specifica ‘via’ della complessità dove lo stesso messaggio cristiano viene ad assumere un ruolo non secondario nel farne emergere l’impegno costante rivolto a costruire ponti e non scissioni; essa è vista nel modo di concretizzarsi nel fare lievitare ed interagire insieme istanze diverse e, a partire dalla piena comprensione del presente con i necessari contestuali bisogni di cambiamento sempre ai fini di un obiettivo non di parte, di andare oltre i quadri politici e culturali esistenti e di mettere in atto processi basati strategicamente sul ‘tra’ e sull’’et et’, di far maturare una coscienza dove i pur inevitabili conflitti si trasformino in risorse per il bene comune. Ed era, pertanto, evidente che un percorso del genere con le diverse poste in gioco non poteva non incontrare resistenze, incomprensioni ed ostacoli di varia natura, frutto di logiche ancora basate su ciechi e sterili bipolarismi che ancora non siamo abbastanza in grado di mettere da parte.
Un’altra figura da affrontare con le lenti sempre più necessarie della complessità, per coglierne la singolarità ed evitare appropriazioni indebite come spesso è stato fatto da più parti, è quella di Don Lorenzo Milani, come ha fatto Mauro Ceruti in una interessante intervista apparsa sull’Eco di Bergamo di domenica 28 maggio; la sua testimonianza di vita viene vista come un esempio concreto di unità nella molteplicità nel senso di aver messo in campo diversi strumenti per concretizzare quell’evento di verità in tutta la sua radicalità e rappresentato dalla conversione quasi ‘alla San Paolo’ nel farsi prete “con schiettezza evangelica” e col coniugare strettamente fede e libertà sin dall’inizio. Non si può comprenderne l’intero percorso se non si tiene presente questa “vocazione spirituale” su cui poi è venuto ad innestarsi l’impegno pedagogico successivo nel presentarsi come un progetto di “rigenerazione attraverso il farsi povero” col condividere in tutto e “con coscienza critica” quello che viene chiamato ‘il Primo mondo’ a Barbiana. In tale contesto, per Mauro Ceruti “l’evento dell’evangelizzazione” si fa tutt’uno col momento educativo indirizzato in primis ad una educazione alla libertà e “con l’evento della crescita della libertà interiore”, progetto a base della Lettera ad unaprofessoressa.
Assume, pertanto, rilevanza strategica il fattore educativo usato come ‘una lama d’acciaio’, nel riportare un’espressione di Padre Balducci usata nei suoi confronti, dove quasi socraticamente “la fede si trasforma in una educazione alla libertà” e nell’esercizio costante del pensiero critico, compito primario della scuola che specialmente in questi ultimi tempi viene messo in secondo piano per una serie di processi che la stanno investendo e, se non orientati secondo una strategia di più ampio respiro, possono portare al pensiero unico; ciò spiega la logica della nota frase messa sulle mura della scuola di Barbiana ‘Il bambino che non studia non è un buon rivoluzionario’, precondizione per combattere le disuguaglianze e per non ridurre la scuola ad un semplice ascensore sociale e ad un ammasso di competenze che pur necessarie possono diventare funzionali a visioni del mondo ideologicamente orientate.
Questa articolata intervista a Mauro Ceruti si rivela, pertanto, sul piano ermeneutico una pista per avvicinarsi a Don Milani col tenere presente anche il fatto che molte risposte date ai problemi del suo tempo rispondono ad esigenze e bisogni degli studenti di oggi, tali da essere considerate vere e proprie ‘provocazioni’ con cui confrontarsi, come le chiama Marco Pappalardo in Cara scuola ti scrivo…L’attualità di Lettera ad una professoressa (Cinisello Balsamo, San Paolo Ed. 2022); la particolarità di questo volume è di essere stato pensato ‘con’ e ‘sugli’ studenti sollecitati dalla lettura dell’opera di Don Milani, per coglierne l’attualità e di essere una ‘risposta’ organica, dato che si ritiene che ancora non c’è, alle riflessioni degli “studenti che l’hanno scritto a Barbiana”. Già autore di diversi lavori su temi educativi e sociali alcuni dei quali tradotti in più lingue, Pappalardo si pone in questo volume con la coscienza critica di essere “di un’altra generazione” come i suoi diversi studenti, alcuni dei quali sono stati “compagni collaboratori” a cui ha dato la parola; e lo presenta come frutto ricavato “dalle loro tante e varie domande, dagli innumerevoli temi scritti e letti, dai dialoghi in aula” e altrove in seguito alle diverse ‘provocazioni’ derivate dalla lettura e all’approfondimento della Lettera ad una professoressa, di cui si loda “la profondità, la schiettezza, lo stile, l’arte”, in quanto espressioni di quella ‘lama d’acciaio’ che non fa sconti a nessuno e costringe a porsi in modo radicale la domanda sul senso delle cose che si fanno.
E anche se in questo volume non ci sono riferimenti al pensiero complesso, ciò che emerge e lo rende significativo è di presentarsi come testimonianza diretta e concreta della complessità dell’essere oggi docente nel rispondere ai bisogni degli studenti alle prese con vari problemi; e la scelta e nello stesso tempo ‘sfida’ da parte di Pappalardo di confrontarsi insieme ad essi in spirito comunitario, prima con la figura del giudice Rosario Livatino nel volume Non chiamatelo ragazzino. Rosario Livatino, un giudice contro la mafia (Milano, Ed. Paoline 2021) e poi con quella di Don Milani, si sono rivelate strategiche per mettere in moto un sano percorso valoriale di senso. Esse derivano, infatti, dal bisogno di avere come punto di riferimento testimonianze di vita vissuta in modo coerente dove i principi di fede, libertà, giustizia e legalità sono stati strettamente intrecciati col diventare dei fari insostituibili nel territorio in cui si viene a vivere e ad operare; ed in tal modo vengono messe a nudo contraddizioni e limiti delle stesse istituzioni scolastiche e non, invitate a mettere in atto strumenti per concretizzare i principi costituzionali, alcuni ancora in parte disattesi, a loro volta nutritisi grazie all’incrocio fecondo di più visioni del mondo basate strategicamente sul ‘tra’ e sull’’et et’’, posizioni che oggi vanno più che mai riprese e coltivate col tenere presente la dimensione planetaria dei problemi coll’essere tutti sulla stessa ‘barca’.
Cara scuola ti scrivo… parte non caso col riportare l’articolo 34 della nostra Costituzione dedicato alla scuola con vari commenti dove emerge da parte degli studenti che il rapporto con essa non è a volte ‘rose e fiori’, ma è il luogo dove “maturiamo tra le tue mura, che non tutti possono vantare, instillando senso critico e consapevolezza per la nostra brillante corazza contro le oscure barbarie”, progetto di fondo dell’impegno di Don Milani. Le varie parti del volume riportano dei paragrafi della Lettera ad una professoressa con relativi commenti da parte di Pappalardo coll’instaurare un dialogo tra studenti di generazioni diverse invitati a costruirsi un futuro con le loro mani e fare in modo di “’essere’ scuola tra passione per lo studio e per la vita”. E lo stesso Rosario Livatino viene visto come una figura unica che ha saputo dare concretezza, nella sua pur breve vita, ad una maturità non comune di uomo insieme di fede e di legge, dove “diritto ed etica sono la stessa cosa”, dove la giustizia ha senso nella misura in cui porta con sé il bene, con la coscienza che “l’etica è disarmata ed il diritto no ma può sanzionare”; la dettagliata ricostruzione che Pappalardo ci offre degli studi, del territorio, delle amicizie e del mondo del magistrato siciliano orgoglioso di appartenere alla sua terra e teso a dar voce alla parte più sana di essa, è utile da una parte per chiarire l’essere cristiano ed il modo di interpretare l’esperienza di fede che ‘può esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi’. Il vivere ‘con schiettezza evangelica’ come Don Milani gli ha permesso di coniugare ‘l’obbedienza alla Chiesa con l’obbedienza allo Stato… col far rispettare e applicare la Legge’, come ha detto Papa Francesco in occasione della sua beatificazione.
Dall’altra parte, il merito di questo lavoro di Pappalardo è quello di offrirci una serie di strumenti per togliergli quell’ipoteca di ‘giudice ragazzino’ per la serietà dei vari impegni sin dai primi anni giovanili nello studio e non solo, per l’idea di fondo che lo ha sorretto come “svolgere bene il proprio dovere non ha età”, per il sacrificio scelto di mettere da parte “la famiglia e gli affetti”, per non farsi coinvolgere nell’agone mediatico per rimanere fedele “ai principi della Costituzione”, per non consideralo un eroe in quanto il suo era un lavoro frutto di “un normale attaccamento al dovere”, per il fatto che “la mafia ha paura” del suo operato a tal punto di ucciderlo. Per questo è stato quasi d’obbligo ritenere e proporre la figura di Livatino come “un modello vincente per essere donne e uomini di speranza”, “un modello, oggi, di una vita semplice ma intensa, di una fede profonda e concreta e di un saldo senso civico e del dovere, anche nella vita quotidiana contro i poteri forti come la mafia”; ed è quello che gli studenti di Pappalardo, e non solo, vogliono trovare in figure che non hanno avuto nessun dubbio nel mettere a primo posto il bene comune col fare lievitare in tal senso la loro stessa fede. Oggi si ritiene necessario da più parti combattere per esso in difesa dell’umano per farlo diventare una risorsa razionale indispensabile per far fronte ai problemi di natura mondiale; gli inediti scenari in cui siamo immersi hanno bisogno, come ci insegna l’esperienza del pensiero complesso, di una nuova attitudine di pensiero incarnato nelle menti umane, dove collaborino insieme strettamente legate le kantiane dimensioni tipicamente umane come la conoscenza, la responsabilità e la speranza, che filosofie dalla vista corta e pratiche di vita ad esse connesse hanno tenuto e continuano a tenere artificiosamente e ideologicamente separate.