«Ogni giorno si riceve qualcosa, diventa solo necessario aver voglia di riconoscerli certi doni»

(Acca)

Oggi, potrei dire di aver ricevuto un messaggio, un libro, delle indicazioni: non mentirei in nessun caso e parlerei sempre della stessa faccenda.

Ma sarò più sincera. Ciò che ho ricevuto è un sorriso; un signor Sorriso, bello, accomodante, pieno, solido ed accompagnato da grandi occhi carichi di esperienza e storie.

Uno di quei sorrisi che ti disarmano per semplicità, ti spingono all’ascolto, talmente rari che meritano di essere presentati: colei che veste cotanta beltà si chiama Maria Carfora ed è l’autrice de “Le storie di Boscobello”, il libro che pure ho ricevuto in dono ed a cui facevo riferimento poc’anzi.

Palermitana di nascita, Maria ha la Sicilia dentro, è una novarese di adozione: ha sempre fatto quello che lei stessa definisce essere il lavoro più bello del mondo, la maestra. E sottolineo il suo stesso modo di definire il mestiere, perché l’uso meticoloso e non calcolato delle parole, fa la differenza: dice maestra, non insegnante.

È da qui che spunta, con tutto il suo meraviglioso splendore, l’umiltà di chi non ha bisogno di falsa modestia, di chi ha concluso la sua carriera con il pensionamento subito prima della pandemia e di quella ha patito “il senso di galera, ma non quella fisica. Era la galera mentale, le sbarre ai pensieri” che hanno trovato via di fuga nella scrittura. Ed ancora, non una scrittura nata con l’intento di arrivare al grande pubblico.

L’umiltà: questo libro è nato come dono natalizio per i cinque nipotini di Maria la quale, a causa delle chiusure, ha dovuto presentare anche a suo figlio il regalo usando una video call.

Cosa ha detto Maria, in un lungo messaggio che qui riporterò solo in parte, alle sue colleghe di sempre quando ha confessato loro di aver raggiunto un risultato inatteso?

Scusate se disturbo, questa primavera durante il lockdown, per non impazzire (…) ho pensato di fare qualcosa che avrei voluto fare per i miei figli, ma che per mancanza di tempo non ero riuscita a fare. Allora perché non farlo per i miei numerosi nipotini? Così, piena di emozioni, mi sono messa a scrivere delle storie…

Ancora una volta, le parole. L’apertura di qui messaggio: Scusate se disturbo. Io non conoscevo Maria, ma ho letto quella comunicazione, giuntami per vie traverse e non ho potuto resistere alla tentazione di contattarla immediatamente, spinta dalla purezza che ogni riga mia aveva trasmesso.

E lì, ancora lei, raggiunta da me, illustre sconosciuta che temeva di importunarla, ha detto spontaneamente le prime sillabe che hanno poi aperto un discorso: la parola importunare non esiste nel mio vocabolario, quindi benvenuta. Ti ringrazio per l’interesse che ho suscitato in te, ma non vorrei che le tue aspettative fossero superiori a quello che immagini…

Non potevo ricevere conferma migliore rispetto al fatto che no, non avevo percepito nulla che non fosse reale: Maria doveva avere qualcosa di speciale ed il suo libro non poteva essere che qualcosa di particolare.

Parlandole ho così scoperto che, a lavoro completato, le è stato proposto di farne pubblicazione: quelle non erano le sue intenzioni, lei voleva solo liberarsi dalle sbarre e farlo creando un regalo personalizzato per la sua famiglia.  Nondimeno, si è lasciata convincere, perché con le sue storie ha voluto parlare al cuore dei bambini, sperando di sollecitare emozioni e riflessioni che oggi, soprattutto in questo particolare momento, sembrano essere state dimenticate. Da qui, il coinvolgimento in qualcosa di nemmeno lontanamente immaginato.

Si è commossa quando la tipografia le ha consegnato il lavoro, come avesse fra le mani un figlio appena partorito: Maria è una persona riservata, sebbene le apparenze non tradiscano affatto questo aspetto.

Io ho avuto l’onore di riceverne copia pro manibus, anche qui in totale semplicità: sono uscita da scuola, le ho telefonato, mi ha guidata molto meglio di quanto avrebbe fatto google drive verso la sua abitazione e mi ha donato Le Storie di Boscobello, sorridendo e guardandomi con gli occhi carichi di gioia, senza potermi stringere la mano, mentre io ero nascosta dietro alla mia mascherina.

Una volta a casa, stavo per leggere, ma mi sono fermata, perché nelle primissime battute ho trovato un suggerimento, che ho seguito con fiducia: sono entrata nelle fiabe, leggendole a mio figlio, portandolo con me, dedicandogli il mio tempo.

Ma non è tutto, le Storie di Boscobello non sono affatto nate per il piacere di chi le ha scritte ed è evidentissimo: sono scritte da una nonna, che non si può dire essere stata una maestra. Maria èuna maestra: il testo, di facile, ma mai scontata lettura è dedicato ai bambini eformulato perloro.

Ogni racconto si apre con un disegno da colorare e nella storia ci sono gli spunti per smuovere la fantasia in mezzo ai pastelli; la voce narrante parla con i suoi piccoli lettori, pone loro domande, li spinge alla riflessione, lascia loro del tempo per pensare, mettere in moto il ragionamento, scovare possibilità. I bambini non sono mai soli ed affidati al caso, neppure quando i racconto li lascia con una domanda, tesa a fare in modo che siano loro a continuare a raccontare qualcosa.

Ancora, ogni racconto termina con degli scatti fotografici trasformati in disegni dal loro autore: anche qui, piacere estetico? Nemmeno per sogno: prima ancora di mettere il primo passo nel bosco, il lettore è messo al corrente del lavoro a cui è chiamato: scovare il collegamento fra le storie e le immagini che le chiudono.

Nella più grande semplicità di scrittura che tradisce l’assoluta mancanza di velleità da professionisti del mestiere, impaginazione e pensiero la maestria di una maestrache incarna in ogni pagina un assioma della pedagogia moderna: sapere, saper fare per arrivare a saper essere.

Nel momento storico per antonomasia dei sistemi di apprendimento interattivi, Le Storie di Boscobello riescono ad essere l’interattività per eccellenza, con l’odore della carta stampata.

Impagabile.


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.