Un modo per riflettere sulla Giornata della Memoria

Non è certo un caso se in alcuni settori dove sono impegnati dei giovani ricercatori si senta il bisogno di confrontarsi con dei classici e di interrogarli criticamente in più direzioni, certamente sotto la spinta di fenomeni planetari che esigono una ‘riforma del pensiero’ come ci ha avvertiti Edgar Morin, il cui percorso di ricerca lungo un secolo ha attraversato più saperi a partire dalla sociologia per approdare all’epistemologia della complessità; e non è ancora un caso se tale bisogno trovi uno dei suoi sbocchi in figure che hanno avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo degli studi sociologici per la loro specifica vocazione di cogliere il contesto sociale in cui ogni fatto umano prende forma, come ad esempio il polacco Ludwig Fleck (1896-1961) il cui originale pensiero è alla base della collana ‘Denkstil. Teorie e pratiche della conoscenza’ diretta da due giovani ricercatori come Gerardo Ienna e Lorenzo Sabetta . Anche in prossimità della Giornata della Memoria, è doveroso ricordare tale figura di pensatore di origine ebraica che, internato ad Auschwitz, riuscì a sopravvivere sino a trasferirsi in Israele continuando la sua attività di ricercatore medico e microbiologo; formatosi nell’atmosfera della ‘grande Vienna’ dei Mach, Freud, Weber, Simmel, Wittgenstein, Schlick e Popper solo per limitarci ai dibattiti scientifico-filosofici,  ci ha lasciato un volume stampato in poche copie, uscito in Svizzera nel 1935, dal titoloGenesi e sviluppo di un fatto scientifico. Tale opera, nel prendere in esame un capitolo della storia della medicina (diagnosi della sifilide e  scoperta della reazione Wassermann), ha cambiato il modo di fare storia e filosofia della scienza sino a  costituire una pietra miliare della sociologia della scienza, come è stato riconosciuto da più parti a partire da Thomas Kuhn che solo nel 1979 fece una prefazione all’edizione americana per poi avere ampia risonanza nei paesi europei con traduzione varie.

E non è ancora un caso, quindi, se in questa collana trovano ospitalità dei saggi di Kurt Mannheim, In difesa della sociologia. Saggi 1929-1936 (Milano, Meltemi, 2020, a cura di Barbara Grüning e Ambrogio Santambrogio), un altro classico più noto della sociologia  del primo Novecento che ha segnato una generazione col suo Ideologia e utopia  e  che a sua volta merita di essere ricordato per la sua origine ebraica e di rifugiato in altri paesi; contemporaneo di Fleck,  ma ungherese di nascita, Mannheim (1893-1947) ha vissuto come molti personalità ebraiche del suo tempo una vita travagliata, prima con l’andare in Germania dopo la presa del potere da parte dei Soviet in Ungheria e poi in Inghilterra dopo  l’avvento del nazismo. E questo avere tre vite e due da sradicato, come sottolineano i  curatori nei rispettivi contributi, gli ha permesso di elaborare un percorso di ricerca strettamente legato alle vicende politiche del primo Novecento dove la sociologia viene vista anche come una chiave ermeneutica per capire le sorti e la fragilità della democrazia e addirittura quasi concepita in funzione di essa. E la stessa collana  sulla scia di tale percorso ospita un volume di due sociologi francesi Bruno Karsenti e Cyril Lemieux, Il socialismo ed il futuro dell’Europa (2021), che si interrogano sull’ascesa  avvenuta in questi ultimi tempi  dei nazionalismi reazionari, sulle modalità con cui porre dei rimedi, sulla crisi del socialismo con la necessità di una sua ridefinizione, sul contributo che possono dare le scienze sociali alla politica; fedeli  a quello  che pensava un altro classico del pensiero sociologico come Max Weber che considerava la politica come ‘gusto dell’avvenire’, mettono sul tappeto ‘il futuro dell’Europa’ alla luce di due grandi questioni, centrali nel pensiero di Edgar Morin, come l’educazione e l’ecologia.

E la stessa Giornata della Memoria può essere una occasione per riflettere sulle cause che hanno determinato l’avvento dei totalitarismi con l’aiuto delle esperienze di vita e di pensiero di queste due personalità del pensiero sociologico e di Kurt Mannheim in particolar modo; nell’opera organica Ideologia e utopia del 1929 tradotta in italiano negli anni ’50 e dedicata a capire  sulla scia e al di là dello stesso Marx i meccanismi del pensiero ideologico,  si forniva una precisa diagnosi della crisi degli anni ’30, concepita  non solo crisi di ordine economico-sociale ma di pensiero tout court e della spiritualità europea con la necessità di concepire diversamente le ‘pratiche della conoscenza’. E alla stessa ragione sociologica veniva affidato, come scrisse all’epoca Antonio Santucci nell’introduzione alla traduzione italiana, “il compito di accertare le implicazioni esistenziali del pensiero e di non lasciare gli uomini inerti dinanzi agli impulsi irrazionali e alle mistificazioni” e nel rivelare “i legami delle diverse concezioni con le situazioni sociali, di superare le prospettive parziali e attingere una nuova sintesi dinamica”.

Se all’interno di Ideologia e utopia  il problema del senso della democrazia e del suo destino  era coperta da  rigorose e sistematiche analisi teoriche,  questi saggi scritti nel periodo vissuto a Weimar e subito dopo  si potrebbero anche chiamare senza nessuna difficoltà scritti ‘in difesa della democrazia’ pur affrontando questioni di natura metodologica sulla sociologia come scienza, sulla sua natura concettuale e sui compiti che l’aspettano, sul suo particolare modo di essere una scienza sintetica  più in grado di fornire, come afferma Ambrogio Santambrogio nell’introduzione, “una conoscenza di secondo livello rispetto a quella  delle altre scienze sociali specialistiche come l’economia, la storia, la scienza politica, la psicologia”. Non fu dunque un caso che il percorso di Mannheim, continuando la strada intrapresa sulla scia del suo primo scritto del 1918, oggetto della tesi in filosofia, L’analisi strutturale dell’epistemologia,  fu in grado di portare all’istituzionalizzazione della sociologia nella Repubblica di Weimar, come evidenzia nel suo contributo Barbara Grüning, grazie anche agli sforzi di altre non secondarie figure e al clima culturale aperto che si respirava in tale intenso anche se travagliato periodo, definito non a caso da Max Weber ‘tellurico’.

All’interno di tali saggi rientra lo sguardo critico   sulla democrazia e le sue sorti ‘da secondo livello’, essendo essa oggetto primario  della storia e della scienza politica,  sulla scia della pioneristica opera di Alexis de Tocqueville, La democrazia in America (1835-40), che non a caso inaugurò un approccio non meramente storico, ma appunto da scienziato sociale nei confronti della situazione americana; e la ragione sta nel punto cardine del discorso di Mannheim  costituito dal fatto che la “sociologia è nata davanti ai nostri occhi, nella vita e per la vita” cosa che “le altre scienze dimenticano” per capire “le tensioni politiche, differenze tra Paesi”. La ragione sociologica appunto perché più legata alle rugosità del presente, a dirla con Simone Weil, si presenta per il pensatore ungherese come una “nuova specifica attitudine della coscienza”; e per pensare sociologicamente si deve partire “dagli uomini, dall’uomo che è diventato sociologico” per evitare quello che viene chiamato quasi profeticamente nel saggio Sociologia generale  del 1930 il “fenomeno della ri-primitivizzazione” se ci si allontana dalle ragioni della vita immersa nel sociale, messo in atto  dall’uomo moderno e ritenuto “decisivo” e cruciale per la stessa intellighenzia  che ha il compito primario di analizzarlo e non “congelarlo” in schemi  assoluti e rigidi, come è avvenuto nel “pensiero marxista ortodosso”, per le sue conseguenze come la “riduzione dell’intelletto nel fascismo” che “serve per un agire fascista”.

Pertanto, la conoscenza non ideologica dei fenomeni sociali a cui deve mirare la ragione sociologica, anche se essa è inevitabilmente coinvolta nei suoi momenti ‘tellurici’ come furono gli anni ’30, senza cadere in visioni biologiciste  dove per Mannheim approdarono sia il nostro Pareto che Carl Schmitt nell’avanzare la tesi dello ‘slancio vitale’ nell’interpretazione del fenomeno della ri-primitivizzazione,  si deve concentrare sulle trasformazioni che subiscono nei momenti critici; ma nello stesso tempo la loro analisi critica da parte della sociologia le impone  di riflettere su di essa stessa come impresa socio-cognitiva col costruire un percorso di socio-epistemologia come l’ha chiamato Gerardo Ienna in un suo recente lavoro. Questo doppio livello di riflessione portato avanti dalla sociologia su se stessa per Mannheim da un lato la preserva dal diventare una ortodossia fissa “su un pensiero immobile”, un sistema chiuso in cui è caduto  certo marxismo  e dall’altro, come chiarisce Santambrogio, viene a situarsi costitutivamente sullo ‘stretto nesso tra sociologia e democrazia”, nesso già intravisto da Tocqueville e poi meglio chiarito nell’ambito  della letteratura del cosiddetto individualismo metodologico portato avanti da Max Weber e poi da negli anni ’70 da Raymond Boudon in Francia e da Dario Antiseri e dalla sua scuola in Italia. A tale proposito Mannheim, quasi weilianamente nel sottolineare la stretta connessione tra vita e pensiero, non ha nessun dubbio nel saggio  I compiti attuali della sociologia quando scrive: “l’avvento dell’orientamento  di vita sociologico sembra essere connesso  all’allargamento dell’ordine sociale democratico”; essa può inoltre forgiare lo spirito del cittadino democratico con fargli capire che la società non è una semplice somma di fattori confusi, ma un “insieme strutturato”, un intreccio di diritti e doveri che si devono equilibrare tra di loro come affermava negli stessi anni Simone Weil grazie alle sue analisi delle cause dei totalitarismi degli anni ’30.

Il momento del collasso della Germania diventa così per Mannheim uno strumento per “tracciare un quadro della vitalità del movimento sociologico… prodotto delle più grandi dissoluzioni e riorganizzazioni sociali, accompagnata dalla più alta forma  di auto-coscienza e di auto-critica”; e anche per noi capire il presente, le sue contraddizioni, non da intendere “semplicemente  un processo negativo” come ci ammonisce il pensatore ungherese, si impone la necessità di riformare le nostre attitudini mentali e di pensiero, per non cadere in nuove forme di ri-primitivizzazione ancora più deleterie data la posta in gioca globale e planetaria dei problemi. E la ragione sociologica con i suoi processi di auto-coscienza e di autocritica, tra le altre cose, come la ragione storica e la ragione filologica (Filosofia e filologia  come risorse per le democrazie del XXI secolo, 16 aprile 2020), ha l’indubbio vantaggio di darci “una comprensione dell’inevitabile interdipendenza dei fattori sociali”, attitudine specifica dell’homo democraticus più pronto a prendere di petto “le nuove situazioni” e a non farsi travolgere dai fatti a cui spesso si danno soluzioni semplicistiche per deficit di senso democratico. Ed è questa la lezione antropologica e didattica anche per la Giornata della Memoria che si può trarre da questi uomini e donne che, pur avendo vissuto sulla loro pelle il venir meno delle istanze democratiche, hanno saputo trasmetterci il ‘gusto dell’avvenire’: con parole di Mannheim  rendiamoci come comunità pensanti “capaci  di educare una generazione di cittadini, dalla cui comprensione corretta del funzionamento della società in cui vivono dipende se il processo sociale sarà in futuro guidato dalla ragione o dalla non ragione”.


Fontehttps://pixabay.com/it/photos/filo-spinato-cielo-simbolo-filo-6040378/
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.