I riti della Settimana Santa trasformano Cagliari in un ampio scenario a cielo aperto nel quale fede e arte, tradizioni e storia si mischiano in una componente suggestiva che non lascia indifferente neppure il più scettico turista o spettatore. I passi cadenzati dei confratelli composti negli abiti confraternali e i rosari sgranati dalle consorelle avvolte in nero vedovile fanno da sottofondo ai canti urlati, quasi a voler risvegliare sensibilità sopite.

La solennità e sensibilità spagnola caratterizza il secolare cadenzare di drammatizzazioni capaci di far rivivere, e non solo esternamente, gli eventi più significativi della passione e morte di Cristo. I riti articolati in processioni, rappresentazioni e manifestazioni corali, animate da simulacri drammaticamente espressivi e struggenti, coinvolgono migliaia di famiglie il cui presidio segue il rigido passaggio di testimone da padre in figlio, da nonno in nipote. E guai a provare a sottrarre il posto che fu del trisavolo o antenato, si arriva anche a parole e gesti che nulla sanno di devozionale.

Le Confraternite cittadine sono fiere custodi di queste paraliturgie che fin dal martedì precedente la domenica delle palme animano le strade di Cagliari. Le tre Arciconfraternite – della Solitudine nella chiesa di San Giovanni, del Santissimo Crocefisso in quella di San Giacomo e del Gonfalone sotto l’egida di Sant’Efisio martire, insieme alla Congregazione degli Artieri – risalenti al seicento, sotto l’influsso della dominazione spagnola, aprono la Settimana Santa con la processione de “is misterius” (i misteri). Sette statue lignee del 1750, opera dello scultore Giuseppe Antonio Lonis di Senorbì, artigiano nel quartiere di Stampace, partendo da Villanova passano attraverso altrettante chiese del centro storico cagliaritano, elevando canti corali eseguiti con tecnica polifonica detta “falsobordone”. Le note emesse a squarciagola pare rimbalzino tra le viuzze strette e anguste dei quartieri, scuotendo le pareti di umili abitazioni e infrangendo il silenzioso scorrere di lacrime e lamenti e intime richieste di grazie e prodigi. Analoga processione si svolge in territorio stampacino, tradizione interrotta per quasi mezzo secolo e ripresa qualche anno fa grazie ai Padri Gesuiti.

Tra la vestizione a lutto della Madonna Addolorata e la rimozione dell’antico simulacro del Cristo in croce, si preparano e allestiscono gli ambienti sacri, arredati da “is nenneris”, fili di tenero verde scaturiti da chicchi di grano fatto germogliare al buio in un piatto, simbolo della morte e risurrezione. Il martire guerriero Efisio, in attesa della solenne festa di maggio, anticipa l’uscita listato a lutto e col pennacchio nero nell’elmo, visitando sette chiese quasi a portare conforto ai tanti devoti.

Si arriva al venerdì santo, il giorno più coinvolgente e il più straziante per le espressioni di fede popolare: l’enorme Cristo in croce, sovrastato da un baldacchino, è letteralmente trascinato da un mare di folla, in tanti fanno a gara per offrire una spalla, una mano o perfino la propria testa a sorreggere il pesante fardello diretto alla chiesa Cattedrale, accompagnato dalla Vergine Addolorata, col petto trafitto da sette spade, e affiancato da due bimbi agghindati a rappresentare l’apostolo Giovanni e la Maddalena. I pesanti battiti sul tamburo, richiamo del rituale con cui i condannati a morte venivano portati al patibolo, risuonano e affondano nell’animo dei presenti, mentre lo sguardo si posa sui tetri e impressionanti stendardi ottocenteschi raffiguranti i segni della passione: il gallo, i chiodi, la spada, il mantello e i dadi dei soldati romani e il profilo beffardo del traditore. Il simulacro del Cristo, condotto all’interno sotto lo sguardo vigile dell’Arcivescovo, viene custodito fino al sabato santo. Dalle prime ore del mattino i confratelli presidiano il luogo sacro per il rito de “su scravamentu”, la rimozione dalla croce, e la deposizione nella lettiga ornata da stucchi in oro zecchino e ricoperta da veli e pizzi. I vigili custodi non si muoveranno da lì fino a quando “si riprenderanno” il Cristo, riportandolo a casa, immancabilmente prima del tramonto. Diversamente, per una antica norma non scritta, si decreterebbe la definitiva acquisizione del prezioso simulacro da parte della Cattedrale, “onta” che nessun cagliaritano doc potrebbe mai sopportare.

Finalmente, la domenica di Pasqua, segnata da “s’Incontru” (l’Incontro). La fede popolare porta in piazza un episodio non narrato dai Vangeli canonici, ma certamente avvenuto, il ricongiungimento di Gesù Risorto a Sua Madre. Nei tre quartieri di Villanova, di Marina e di Stampace, i due simulacri, finalmente vestiti a festa, partendo da due luoghi e percorrendo itinerari diversi, si ritrovano faccia a faccia, mentre la folla festante saluta con applausi scroscianti quel triplice inchino che segna il definitivo accantonamento del tragico avvenimento della morte. I pianti di due giorni prima sono solo un ricordo, almeno fino al ritorno a casa.


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Ignazio Boi (Cagliari, 1961), sposato, tre figli, giornalista pubblicista, esperto di formazione e comunicazione, funzionario della Direzione Politiche Sociali dell’Assessorato della Sanità della Regione Sardegna. Si forma in ambiente cattolico, dalla parrocchia ai movimenti dei Gesuiti. Obiettore di coscienza, nel 1983 diviene Segretario Nazionale della Lega Missionaria Studenti, promuove l’educazione alla pace, alla mondialità e la cooperazione allo sviluppo, cura il mensile “Gentes” e collabora alla rivista delle Comunità di Vita Cristiana. Consigliere e Presidente di Circoscrizione del Centro Storico di Cagliari dal 1985 al 1995, favorisce la nascita in Sardegna dell’Ipsia, ONG delle Acli, del Forum del Terzo Settore e del Forum delle Associazioni Familiari. Dirigente delle Acli e di Gioventù Aclista, fonda il Centro Pace e Sviluppo e con l’ente Enaip Sardegna dal 1986 al 2007 dirige attività e progetti di formazione professionale per “fasce deboli”, coordina programmi formativi internazionali e scambi di allievi tra paesi europei. Dall’Area Formazione della ASL, nel 2009 è chiamato nello staff dell’Assessore del Lavoro, promuove le realtà dei sardi nel mondo, particolarmente in Australia e in Argentina. Nel 2000 è ordinato Diacono permanente, impegnato negli Uffici diocesani di Pastorale Sociale e Lavoro e delle Comunicazioni Sociali, animatore di incontri, catechesi e formazione in diversi ambiti ecclesiali.